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L'economia classica: un nuovo approccio all'economia politica

L'economia classica: un nuovo approccio all'economia politica


13Apr2024

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 838 hits
Prima pubblicazione: 17 Settembre 2023

«Sul piano pratico, Smith raccomandava la progressiva eliminazione delle barriere e dei vincoli all'attività economica che provenivano dall'epoca feudale e dalle politiche mercantilistiche. Il liberismo di Smith va inteso appunto in questo senso e non, come spesso si sostiene, nel senso di un atteggiamento passivo o inerte della pubblica autorità – governo e parlamento – nell'attività economica».

Alessandro Roncaglia

Con l'economia classica, inizia a prendere forma la materia economica come la conosciamo ai nostri giorni.

L'argomento è vasto e abbraccia una serie di teorie e concetti che hanno avuto un impatto profondo sullo sviluppo di questa scienza sociale.

Per facilitarne la comprensione, abbiamo deciso di suddividerlo in quattro articoli distinti.

Indice

Un mondo che cambia

Enrique Silvestre, Change (XX sec.)

«Meno idee si hanno e meno si è disposti a cambiarle».

Michelangelo

L’epoca in cui la teoria classica ha raggiunto il suo apice coincide con un’era di significative trasformazioni economiche e sociali, comunemente conosciuta come “rivoluzione industriale”.

Non c’è dubbio che le fondamenta dell’economia classica siano state gettate principalmente in Gran Bretagna, la nazione pioniera di questo processo rivoluzionario nella seconda metà del XVIII secolo. Da quel momento, tale fenomeno ha progressivamente permeato l’Europa continentale, il Nord America e il Giappone.

Da un punto di vista quantitativo, l’era in questione è principalmente contraddistinta da un incremento costante della produzione industriale, in particolare nei settori tessile e metallurgico, che hanno agito come motori propulsori per l’intera economia.

In effetti, sembra che nel corso del XIX secolo, l’Europa occidentale, gli Stati Uniti e il Giappone abbiano registrato una crescita economica media annua del 2%. Questo ritmo di crescita ha portato a un incremento del prodotto interno lordo di sei-sette volte (quasi triplicando il reddito pro capite).

Mai, prima di allora, si era assistito a un aumento così sostenuto della produzione per un periodo di tempo così esteso. Questa trasformazione ha comportato profonde variazioni nella distribuzione della forza lavoro, accompagnate da un rapido processo di urbanizzazione.

Già poco dopo il 1850, in Inghilterra, la popolazione delle città aveva superato per la prima volta quella delle campagne. Contemporaneamente, il lavoro in fabbrica si era diffuso e trasformato in quello che oggi chiameremmo “lavoro non qualificato”. Questa transizione vide un’ampia partecipazione di donne e bambini, a volte addirittura a partire dai cinque anni di età.

Le condizioni di lavoro erano estremamente dure, con giornate lavorative medie che oscillavano tra le 12 e le 15 ore, almeno fino al 1860. I salari rimanevano a livelli di sussistenza e la legislazione sociale era rara e largamente ignorata fino alla fine del XIX secolo.

I lavoratori, sottoposti a queste difficili condizioni, non avevano il diritto di unirsi per difendere i propri interessi collettivi. Fu solo nel 1864 che venne riconosciuto il diritto di sciopero: la resistenza dei lavoratori sfociava occasionalmente in violente rivolte.

Tutte queste trasformazioni causarono una serie di innovazioni, ma non sarebbe stato possibile soddisfare la crescente domanda di forza lavoro richiesta dallo sviluppo industriale senza l’incremento della produttività agricola che lo accompagnò.

Un nuovo approccio all'economia politica

Florin Ciulache, Economy (XX sec.)

«Towering genius disdains a beaten path. It seeks regions hitherto unexplored».

Abraham Lincoln

Nel contesto della rivoluzione industriale, la teoria classica si afferma come un nuovo approccio all’economia politica.

I pensatori classici intraprendono la costruzione pionieristica di una vera e propria scienza economica, il cui obiettivo principale è rendere comprensibile il nuovo mondo che si sta sviluppando.

Una delle prime questioni affrontate riguarda la definizione di ricchezza. Adam Smith prende le distanze dai fisiocratici, i quali ne avevano una visione troppo ristretta. Per Smith, la ricchezza di una nazione comprende “tutte le cose necessarie e utili per la vita” che il lavoro annuale di quella nazione può produrre.

Questa visione ha portato Smith a estendere il concetto di attività produttiva a tutte le attività coinvolte nella produzione, nel trasporto e nella commercializzazione di beni materiali, siano essi prodotti agricoli o manufatti.

Adam Smith non si limita a definire semplicemente la ricchezza: esamina anche i fattori che possono contribuire al suo aumento. Identifica l’aumento delle forze produttive del lavoro umano come il fattore fondamentale e, in pagine divenute famose, spiega che tale aumento è strettamente legato al progresso della divisione del lavoro.

La celebre metafora della “mano invisibile” di Smith suggerisce che, in un mercato competitivo, gli individui, spinti dal proprio interesse personale, agiscono in un modo che favorisce il benessere generale. Smith sostiene che: “Nel perseguire il proprio interesse, l’individuo agisce spesso in modo più efficace per l’interesse della società rispetto a quando cerca intenzionalmente di promuovere quest’ultimo.”

Questa metafora evidenzia come la ricerca del profitto da parte delle imprese le induca a produrre i beni che i consumatori desiderano, al miglior prezzo possibile e utilizzando le tecniche più efficienti. Ma questi vantaggi si possono realizzare pienamente solo in un contesto di libera concorrenza, dove lo Stato ha un ruolo economico limitato e non deve interferire con il meccanismo di autoregolazione del mercato.

Il compito dello Stato è quello di garantire la difesa e l’applicazione della giustizia, istituendo quello che viene definito “stato di polizia”, che rappresenta un’evoluzione dello Stato assoluto e monarchico.

La teoria classica della “mano invisibile” di Adam Smith rappresenta ancora oggi il fondamento del pensiero economico liberista. Essa enfatizza come l’interazione degli interessi individuali, in un contesto di concorrenza, regoli efficacemente i processi economici a livello sociale, dove i prezzi agiscono come “segnali” che guidano le decisioni dei produttori in sintonia con le esigenze dei consumatori.

Contrariamente a quello che molti credono e a un’immagine a volte idealizzata della Rivoluzione Industriale, i classici non presentarono un quadro idilliaco di questo sistema. Adam Smith critica duramente il modo in cui i datori di lavoro, sfruttando il loro potere economico e le agevolazioni legali a loro favore, impongono le loro condizioni ai lavoratori.

Alla domanda sul perché, nel liberismo, un sistema in cui una minoranza di proprietari può imporre la propria legge alla maggioranza dei lavoratori, i classici rispondono che i lavoratori hanno più da perdere che da guadagnare ribellandosi all’ordine esistente.

La loro adesione al liberismo si basa sulla convinzione ragionata che, nonostante le sue durezze, questo sistema sia globalmente vantaggioso per la sua efficienza economica.

I classici si fissarono l’obiettivo di costruire una vera scienza dell'economia, seguendo l'esempio delle scienze naturali che erano in piena espansione all'epoca. Cercarono di formulare leggi universali che spiegassero il funzionamento dell’economia nel lungo termine.

Queste “leggi naturali” vennero concepite per spiegare il funzionamento dell’economia di mercato in un contesto di libera concorrenza.
Per Adam Smith, questa concetto sembrò “naturale”, perché esprimeva una caratteristica fondamentale della natura umana: la propensione allo scambio.


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx

15. L'economia politica neoclassica

16. John Maynard Keynes

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