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L'economia classica e la teoria del valore lavoro secondo Smith e Ricardo

L'economia classica e la teoria del valore lavoro secondo Smith e Ricardo


13Apr2024

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Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 1652 hits
Prima pubblicazione: 15 Ottobre 2023

«There is no way of keeping profits up but by keeping wages down».

David Ricardo

L'analisi del valore, che consiste nella ricerca dei principi che determinano i prezzi relativi delle merci in un mercato concorrenziale, svolge un ruolo cruciale nell'ambito dell'economia classica.

Questa analisi rappresenta un primo passo nello studio della distribuzione del reddito, la cui dinamica ha un impatto significativo sullo sviluppo generale della società.

Nella sua celebre opera, " La ricchezza delle nazioni", Smith introduce la distinzione tra il valore d'uso e il valore di scambio di un bene, cioè la sua utilità e la sua capacità di “comprare” altri beni.

Questa distinzione segna l'inizio di uno sforzo per sviluppare una teoria del valore che vada oltre la mera idea di utilità, che era l'opinione prevalente prima di Smith. Questo approccio rappresenta una caratteristica distintiva sia dell'economia classica che di quella marxista.

Il concetto di valore d'uso si riferisce all'utilità sociale di un bene. Spesso, le cose che hanno un elevato valore d'uso hanno un valore di scambio limitato, e viceversa. Ad esempio, l'acqua è un bene essenziale dall’alto valore d'uso, ma non ha praticamente alcun valore di scambio. D'altra parte, il diamante non ha alcun valore d'uso intrinseco, ma è facilmente scambiabile con molti altri beni.

Il valore di scambio di un bene è generalmente rappresentato dalla quantità di denaro che può essere ottenuta in cambio di quel bene. La moneta, però, è una unità di misura soggetta a variazioni. Di conseguenza, Smith preferisce utilizzare il lavoro come unità di misura, poiché “in ogni tempo e luogo, uguali quantità di lavoro si può dire abbiano uguale valore per il lavoratore”: il lavoratore deve sempre sacrificare la stessa quantità di sonno, libertà e felicità nel suo stato normale di salute, forza e spirito, al livello normale della sua abilità e competenza.

Per Smith, quindi, il lavoro rappresenta l'unica e definitiva misura con cui il valore di tutti i beni può essere stimato e comparato in qualsiasi momento e luogo. Il lavoro costituisce il loro vero costo, mentre la moneta rappresenta semplicemente il loro valore nominale.

A questo punto il discorso si complica: in base a quanto premesso, sembrerebbe ragionevole dedurre che il valore di una merce dipenda dal lavoro che vi è contenuto. Per Smith, questo è vero soltanto in una società primitiva, quando tutto il prodotto del lavoro apparteneva al lavoratore.

In una società capitalistica, però, il prodotto del lavoro non appartiene interamente al lavoratore. Nella maggior parte dei casi, dovrà dividerlo con il proprietario del capitale che rende possibile l’esistenza di quel lavoro.

La quantità di lavoro che normalmente dovrebbe essere acquistata, comandata o ricevuta in cambio non è più l'unico fattore che regola la quantità di lavoro impiegata per procurare o produrre un bene: un ulteriore importo deve essere destinato ai profitti dei capitali che hanno anticipato i salari e fornito i beni necessari per rendere possibile il lavoro.

Si verifica quindi un paradosso: se il valore di un bene corrisponde al lavoro che si può acquistare – comandare – con il ricavato della sua vendita, il lavoro comandato di un bene dovrà essere superiore a quello in esso contenuto.

In altre parole, Smith suggerisce che il valore reale di un bene è determinato dalla quantità di lavoro che ciascun componente del prezzo può acquistare o comandare, e che deve includere anche la rendita e il profitto: il lavoro è all’origine del salario, del profitto e della rendita.

Se questo ragionamento sembra poco chiaro, è perché effettivamente lo è. Le conclusioni di Smith sono ambigue e lasciano trasparire una certa confusione di idee che ha dato origine ad ampi dibattiti nei decenni successivi.

Ricardo cercherà di perfezionare il discorso lasciato a metà da Smith.

Per Ricardo, l’utilità è il primo fattore che determina il prezzo o il valore di un bene. Successivamente, però, introduce la distinzione tra beni riproducibili e non riproducibili, che ritiene fondamentale.

Ricardo concorda con Smith sul fatto che i beni non riproducibili non devono perdere completamente il loro valore d'uso. Il valore di scambio dei beni non riproducibili (statue, quadri rari, vini pregiati, ecc.) è correlato all'utilità delle merci. Ma i beni non riproducibili sono il caso speciale, l’eccezione.

Il caso generale è costituito dai beni riproducibili, il cui valore di scambio è proporzionale al lavoro in essi incorporato.

Ricardo introduce quindi la distinzione tra prezzi naturali e di mercato:

  • I prezzi naturali sono quelli che si verificherebbero nell'intera economia se il compenso unitario per il lavoro, ovvero il tasso salariale, fosse uniforme per ogni tipo di lavoro e se il compenso unitario per il capitale o il tasso di profitto fosse anch’esso uniforme.
  • I prezzi di mercato sono i prezzi effettivamente pagati nelle transazioni commerciali.

I prezzi di mercato e i prezzi naturali raramente coincidono, poiché alcune produzioni sono più redditizie di altre e i lavoratori ricevono stipendi variabili in base al settore di attività.

Questa situazione non è stabile: le fluttuazioni nei profitti e nei salari scatenano una serie di adattamenti che tendono a riportare i prezzi di mercato verso i prezzi naturali, secondo un processo noto come il meccanismo di gravitazione: il prezzo di mercato “gravita” intorno al prezzo naturale, ma non può allontanarsi permanentemente da esso.

Anche il salario ha un suo "prezzo" naturale: ispirato dalla teoria della popolazione di Malthus, che analizzeremo in seguito, per Ricardo il salario dei lavoratori eguaglia il salario di sussistenza.

Ricardo è un sostenitore della nota "Legge bronzea dei salari". Questa legge sanciva come i salari fossero “il prezzo necessario per mettere i lavoratori, nel loro complesso, in condizioni di sussistere e perpetuare la loro specie senza aumenti né diminuzioni”.

In base ad essa, “coloro che vivevano del loro lavoro dovevano rimanere poveri e nulla e nessuno li avrebbe riscattati dalla loro povertà: né uno Stato o un datore di lavoro compassionevole, né i sindacati o qualsiasi tipo d’azione che intraprendessero”.

Era la legge bronzea a determinare il prezzo naturale del salario, intorno al quale i salari tendevano ad assestarsi.

Sia la teoria del valore lavoro di Smith che quella di Ricardo si trovano ad affrontare un problema: secondo Smith, il prezzo naturale dipende dal salario, ma comprende anche i profitti dei produttori, che non sono però misurati in termini di lavoro.

Abbiamo visto come Smith aveva affrontato questa difficoltà e vedremo tra breve come, invece, cercherà di risolverla Ricardo.

La teoria del valore lavoro è associata soprattutto a Ricardo: in realtà, anche Smith aveva precedentemente avanzato una tesi simile alla sua ma, come abbiamo visto, l’aveva limitata alla “società primitiva”, quella che esisteva prima dell’accumulo del capitale e dell’appropriazione della terra. Secondo Smith, infatti, questa teoria non poteva spiegare correttamente l’origine del profitto nella società contemporanea.

Ricardo riteneva invece che la teoria scartata da Smith fosse corretta. Nella sua teoria del valore lavoro, Ricardo affronterà due difficoltà: la diversità del lavoro e la nozione di lavoro indiretto.

Ricardo è consapevole del fatto che esistono molti tipi di lavoro finalizzati a produrre un’ampia varietà di beni con caratteristiche molto eterogenee: si rende necessario, perciò, l’uso di un’unità di misura per comparare e confrontare tra loro questi tipi diversi di lavoro.

In merito al lavoro indiretto, la soluzione proposta da Ricardo – per quanto semplice – sarà oggetto di critiche e ampi dibattiti. Egli osserva che i prodotti dei diversi tipi di lavoro non hanno lo stesso valore sul mercato. Per produrre un bene, inoltre, è richiesto non solo il lavoro, ma anche l’uso di materie prime e di macchinari.

Dal momento che questi fattori di produzione sono a loro volta prodotti e vengono consumati nella produzione di un certo bene, Ricardo sostiene che il valore di un bene dipende dalla somma del lavoro diretto e indiretto necessario per la sua produzione.

Per evidenziare le difficoltà associate alla teoria del valore lavoro, possiamo servirci di tre esempi concreti:

  1. Beni prodotti con il solo lavoro diretto: supponiamo di avere due bene distinti realizzati solo con manodopera diretta e che il loro valore sia proporzionale alla quantità di lavoro impiegato nella produzione. Il valore dei beni, in questo caso, è direttamente proporzionale alla quantità di lavoro impiegato nella produzione.
  2. Beni prodotti con il lavoro diretto e l’uso di macchinari: supponiamo ora che due macchinari abbiano lo stesso valore e producano lo stesso prodotto. Supponiamo anche che il lavoro impiegato sia proporzionale al prezzo dei beni. Il valore dei beni deriverà dalla quantità di lavoro diretto e indiretto necessario per la produzione.
  3. Beni prodotti con lavoro diretto e beni prodotti con l’uso di macchinari: consideriamo due beni, A e B, che richiedono entrambi la stessa quantità di lavoro diretto nel processo di produzione. Il bene B, però, contiene anche un elemento di valore rappresentato dai macchinari. Supponiamo che il profitto sia pari al 10% del capitale investito. Il profitto di A sarebbe perciò pari a 10% × 100 (lavoro) = 10, mentre il profitto di B sarebbe uguale a 10% × 100 (lavoro) + 10% × 50 (macchinari) = 15. Di conseguenza, il prezzo naturale di A dovrebbe essere pari a 100 (valore del lavoro) + 10 (profitto) = 110, mentre quello di B dovrebbe essere 150 (valore del valore e dei macchinari) + 15 (profitto) = 165.

Il valore dei beni è perciò influenzato sia dalla quantità di lavoro diretto, sia dalla presenza di macchinari o di altri capitali fissi.

In base alla teoria di Ricardo, il prezzo naturale include quindi sia il lavoro che i profitti. Ricardo proverà a spiegare questa incongruenza – quella dei punti 2 e 3 precedenti – dicendo che anche i profitti derivano dal lavoro: gli uomini hanno lavorato in passato per costruire gli stabilimenti e i macchinari (capitale fisso), nonché per acquistare i beni che costituiscono il capitale circolante: tutto ciò, permette di svolgere il lavoro oggi.

Ebbene, come sottolinea Galbraith, “il profitto (che comprende ancora l’interesse) è il pagamento posticipato di questo lavoro passato”. Ma allora, continua Galbraith, se il profitto rispecchia la remunerazione di lavoro svolto in passato nella formazione del capitale, “qualsiasi reddito intascato dal capitalista è una grossolana forma di furto. Il capitalista non vi ha nessun diritto: non fa che appropriarsi di quel che a rigore appartiene all’operaio”.

Ancora una volta, Galbraith è critico nei confronti di Ricardo. L'attribuzione da parte di Ricardo dei profitti e degli interessi al lavoro svolto in passato viene vista da Galbraith come un perfetto assist a favore delle critiche che verranno avanzate in futuro da Marx.

È forse per questo che Ricardo è un personaggio definito da Galbraith sconcertante e controverso: “sconcertante perché la natura e la profondità della sua influenza sulla scienza economica sono tutt’altro che chiare; controverso perché agli occhi di molti tale influsso ha reso un servizio meraviglioso alle persone sbagliate: specificamente a Marx e ai marxisti".

Adolph Menzel, Il laminatoio di ferro (1872-1875)

Ricardo era consapevole di non offrire una spiegazione completamente convincente alla sua teoria del valore lavoro. Tuttavia, non riesce a individuare una soluzione migliore e continuerà a ritenere che la sua teoria del valore lavoro costituisca un'utile e significativa approssimazione della realtà.

Il pensiero di Karl Marx sarà analizzato in seguito, ma in questo contesto può essere utile anticipare il suo punto di vista sulla teoria del lavoro. Secondo Marx, una caratteristica comune degli economisti “classici” è il loro tentativo di spiegare il valore di scambio delle merci in base al lavoro: in questo senso, i loro sforzi confluiscono in quella che è stata definita teoria del valore lavoro.

Marx sottolinea l’esistenza di due teorie del lavoro: quella di Adam Smith, denominata teoria del lavoro comandato e quella sviluppata da David Ricardo, chiamata teoria del lavoro incorporato:

  • Nella teoria del lavoro comandato, il valore di un bene è determinato dal numero di ore di lavoro che sono necessarie per guadagnare una somma di denaro sufficiente a pagare il prezzo di quel bene.
  • Nella teoria del lavoro incorporato, il valore di un bene è determinato dalla quantità di lavoro richiesto per produrlo. In altre parole, il valore di una merce è misurato dal numero di ore di lavoro che sono state impiegate per produrlo.

Per una cinquantina d’anni le teorie di Ricardo verranno supportate e condivise dal pensiero predominante ma, come già accennato, le critiche non tarderanno ad arrivare. Non soltanto da parte di Marx: anche altri economisti, come ad esempio Malthus, criticheranno la teoria del valore lavoro di Ricardo, sottolineandone i difetti e contestando la sua applicabilità nell’economia politica.


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx

15. L'economia politica neoclassica

16. John Maynard Keynes

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