Il mercantilismo
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- Prima pubblicazione: 23 Aprile 2023
«For the merchant, even honesty is a financial speculation».
Charles Baudelaire
Indice
Una società di transizione
«Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo».
Eraclito
Dopo un periodo di crescita economica dall’XI all’inizio del XIV secolo, la fine del Medioevo fu segnata da un crollo demografico causato dall’epidemia di peste nera che colpì l’Europa nel 1359.
Nella seconda metà del XV secolo, la popolazione riprese a crescere e con essa l’attività economica. Questo sviluppo fu accelerato da importanti scoperte e profondi cambiamenti politici, sociali e culturali.
La fine del XV secolo fu l’epoca delle grandi scoperte geografiche, favorita dai progressi nell’arte della navigazione. L’Europa, che si era ripiegata su sé stessa durante il Medioevo, si lanciò alla conquista del mondo.
Il centro del commercio mondiale si spostò dal Mediterraneo all’Atlantico. Il commercio da solo non può spiegare il nuovo dinamismo economico, che si basava anche sui progressi in campo agricolo e industriale, come l’introduzione del ciclo continuo di rotazione delle colture e l’invenzione della stampa.
Con lo sviluppo dell’industria laniera, la pastorizia aumentò e molte terre coltivate furono trasformate in pascoli. L’esportazione della lana arricchì coloro che avevano investito in questa attività. In Inghilterra, fu permesso l’acquisto e la recinzione delle terre comunali, che fino a quel momento erano state a disposizione dei contadini.
L’avanzamento delle tecniche commerciali e finanziarie e l’aumento della disponibilità di moneta dovuto all’afflusso di metalli preziosi dalle Americhe portarono a una maggiore monetizzazione dell’economia europea e favorirono l’ascesa della classe mercantile al potere.
Verso la fine del Medioevo, in Europa emerse un nuovo tipo di regime politico. Il regime feudale, caratterizzato dal declino del potere dell’aristocrazia fondiaria, cedette gradualmente il posto allo stato centralizzato. Quest’ultimo assunse spesso la forma di monarchia assoluta, in cui il monarca entrava in conflitto con la nobiltà e trovava sostegno nella classe emergente dei mercanti.
Il Rinascimento ebbe origine in Italia nel XV secolo e si diffuse in Europa nel secolo successivo. Questo ampio movimento intellettuale e artistico trasse ispirazione da opere antiche che erano state ignorate o dimenticate, come quelle di Platone. Gli umanisti del Rinascimento promuovevano una visione del mondo che esaltava la dignità umana e la libertà intellettuale.
Questa libertà intellettuale si manifestò nell’ambito della ricerca scientifica, dove scoperte come quelle di Copernico, confermate successivamente da Keplero e Galileo, supportarono l’idea che l’universo fosse governato da leggi che l’uomo poteva comprendere attraverso l’uso della ragione e la sperimentazione.
Sebbene gli umanisti non si opponessero alla Chiesa, ci fu una sfida più radicale che portò alla Riforma, rappresentata principalmente dalle figure di Lutero (1483-1546) e Calvino (1509-1564). Il cristianesimo si divise tra coloro che sostenevano la Riforma e coloro che vi si opponevano, mentre gli Stati affermavano la loro indipendenza.
Sul fronte economico, il tentativo tomista di regolamentare il mercato attraverso una serie di regole, come il prezzo equo, fu messo in discussione dallo sviluppo del commercio, della finanza e della produzione.
Le idee mercantiliste
«Meno idee si hanno e meno si è disposti a cambiarle».
Michelangelo
Non esiste una scuola di pensiero mercantilista in senso stretto. Fu Adam Smith che, nel 1776, introdusse il termine “sistema mercantile” per denunciare le confusioni dei suoi predecessori.
Gli autori designati con questo termine condividevano alcune preoccupazioni e atteggiamenti che li distinguevano dalla dottrina tomista del medioevo e dall’economia classica che emerse alla fine del XVIII secolo.
Mentre gli autori medievali affrontavano le questioni economiche in relazione alla moralità divina, i mercantilisti consideravano le questioni economiche dal punto di vista dell’arricchimento dei mercanti e del potere dello Stato. In questo modo, gettarono le basi di una nuova disciplina: l’economia politica.
I mercantilisti concepivano questa nuova disciplina in modo pragmatico, cercando soprattutto di proporre mezzi efficaci per aumentare il potere politico del regno sviluppandone il potere economico. I mercantilisti cercavano di dimostrare che esisteva una convergenza di interessi tra il sovrano e i mercanti del regno: il potere politico del primo dipendeva dall’arricchimento dei secondi.
Il punto di partenza di questa analisi era l’idea che il potere del sovrano dipendesse dalla disponibilità di metalli preziosi come oro e argento. Tuttavia, l’Europa era povera di miniere d’oro e d’argento e la sua principale fonte di approvvigionamento di metalli preziosi – le miniere d’America – a partire dal XVI secolo era monopolizzata dalla Spagna.
Era quindi importante, per gli altri Stati, riuscire a ottenere questi metalli preziosi utilizzando delle strategie alternative.
I mercantilisti notarono che un modo efficace per aumentare la disponibilità di metalli preziosi era quello di avere una bilancia commerciale in attivo, cioè facendo in modo che il valore delle esportazioni superasse quello delle importazioni. Infatti, essendo le transazioni internazionali pagate in monete d’oro o d’argento, un surplus commerciale implicava che gli afflussi di metalli preziosi avrebbero superato i deflussi e quindi lo stock di denaro in oro e argento in circolazione nel paese sarebbe aumentato.
Per ottenere questo risultato, era necessario incoraggiare l’attività dei mercanti del regno. Sebbene fossero favorevoli agli scambi commerciali, i mercantilisti non erano sostenitori del liberalismo economico. Secondo loro, lo Stato doveva intervenire nell’attività economica del Paese con regolamentazioni e incentivi per stimolarla e indirizzarla nella direzione opportuna.
Preoccupati per l’equilibrio del commercio estero, i mercantilisti proponevano misure riguardanti l’attività economica interna del regno. Cercavano di precisare i legami tra variabili come l’offerta di moneta, la domanda esterna e interna, il livello dei prezzi, l’interesse e l’occupazione. Così facendo, gettarono anche le basi di una disciplina che sarebbe stata chiamata, molto più tardi, con il nome di macroeconomia.
L’afflusso di metalli preziosi americani nel XVI secolo portò inizialmente a un forte aumento dei prezzi in Spagna e, in seguito, nel resto dell’Europa.
La relazione tra base monetaria e prezzi fece la comparsa nel dibattito contemporaneo. Pierre Vilar, un famoso storico francese del secolo scorso, ha dimostrato come il gesuita Martín De Azpilcueta, dodici anni prima di Jean Bodin, avesse un’idea abbastanza chiara di quella che sarebbe poi stata chiamata la teoria quantitativa della moneta.
È Jean Bodin, tuttavia, la figura a cui viene solitamente attribuita la paternità della spiegazione che la causa dell’inflazione risiede nell’aumento dell’offerta di moneta, provocato in quel periodo proprio dall’afflusso di oro e argento dall’America.
L’oro che arrivava dai galeoni a Siviglia stimolava il consumo e faceva salire i prezzi. Questo aumento dei prezzi, a sua volta, aumentava le importazioni e favoriva un deficit nel commercio estero della Spagna, che si traduceva in deflussi di oro.
La teoria quantitativa della moneta, elaborata quindi da autori generalmente considerati mercantilisti, sarebbe stata successivamente utilizzata dai liberali come arma contro il mercantilismo.
In questa teoria era infatti presente il germe dell’idea che vi fosse una tendenza spontanea al riequilibrio del commercio estero e che, quindi, l’arsenale di misure protezionistiche propugnate dai mercantilisti non avesse ragion d’essere.
La maggior parte dei mercantilisti non giunse però a questa conclusione: credevano infatti che l’abbondanza monetaria e di uomini stimolasse l’attività economica del paese. L’abbondanza di forza lavoro avrebbe mantenuto i salari bassi, mentre quella di moneta avrebbe favorito un tasso di interesse contenuto. Questo avrebbe permesso di finanziare gli investimenti industriali e commerciali a costi ridotti.
Il legame tra massa monetaria, tasso d’interesse e volume di attività fu illustrato, in particolare, dall’inglese William Petty nel suo “Political Arithmetic”, pubblicato nel 1690.
L’enorme afflusso di metalli preziosi dalle Americhe ebbe un ruolo molto importante anche nella comparsa e nel consolidamento dell’autorità dello Stato moderno, che prese il posto delle baronie feudali, dei prìncipi e delle città sviluppatesi nei secoli precedenti.
L’avvento dello Stato nazionale fu quindi accompagnato dalla stretta, intima associazione tra l’autorità statale e l’interesse dei mercanti.
Il mercantilismo segnò una netta rottura con gli insegnamenti etici di Aristotele e di Tommaso d’Aquino e del Medioevo in generale: il prestito a interesse divenne legittimo nella maggioranza dei casi: veniva condannato soltanto quando vi fosse una palese estorsione nei confronti di un bisognoso.
Anche il concetto di giusto prezzo perse di importanza: l’unica preoccupazione dei mercanti era che i prezzi non scendessero troppo, magari a causa della concorrenza. Per i mercantilisti, la concorrenza era una vera e propria minaccia: il monopolio o il controllo monopolistico dei prezzi era visto di buon occhio proprio per questa ragione.
I mercantilisti erano perciò favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia. D’altra parte, l’accumulazione di metalli preziosi era fondamentale per finanziare gli eserciti e le numerosissime guerre tra Stati: “il mercantilismo era saldamente radicato nelle politiche difensive e aggressive delle nazioni”.
Infine, è proprio nell’età dei mercanti che entrò in scena “quella che sarebbe diventata l’istituzione economica dominante del mondo attuale, ossia la grande società anonima moderna”.
È tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo che nacquero la Compagnia delle Indie orientali britannica e quella francese, nonché molte altre società alle quali vennero assegnate determinate aree di monopolio del commercio.
Quando nuove compagnie nascevano e minacciavano di far concorrenza a quelle già esistenti nelle rispettive zone di monopolio, era necessario resistere anche a costo di ricorrere alle armi: la società anonima divenne spesso strumento di guerra, oltre che di attività mercantile.
Nei primi anni del XVIII secolo, le società anonime furono anche le protagoniste di numerose bolle speculative: l’operato di John Law a Parigi e quello della South Sea Company e di altre società a Londra sono stati all’origine di alcune delle peggiori bolle finanziarie della storia. Una volta esplose, lasciarono migliaia di persone sul lastrico e le economie francesi e inglesi in pessime condizioni.
Il mercantilismo finì nel 1776 con Adam Smith. Da quel momento in poi, “rifarsi al mercantilismo diventerà una cosa intrinsecamente sbagliata e riprovevole. Sarà tuttavia ora chiaro che se un tale biasimo è giustificato, esso va rivolto non a coloro che espressero le idee, ma piuttosto alle circostanze dell’epoca e agli interessi che essi servirono”.
La società comunista di Tommaso Moro
«L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve per continuare a camminare».
Eduardo Galeano
Ispirati dalla “Repubblica” di Platone – il cui testo era stato nel frattempo ritrovato – molte menti brillanti coltivavano l’idea di un ritorno all’età dell’oro o a uno stato di pura natura, dove gli individui si sarebbero perfettamente integrati nella società grazie all’abolizione della proprietà privata.
Tommaso Moro scrisse un libriccino in cui ipotizzava un particolare tipo di regime comunista: ebbe un grande impatto e influenzò molti riformatori sociali successivi.
Pubblicato a Lovanio nel 1516 in latino, il suo titolo era “Utopia”. Il libro conteneva due parti distinte: una parte critica e una costruttiva.
Nel primo libro, l’autore criticava aspramente il sistema politico e sociale del suo tempo e sollevava un’accusa contro la politica che Niccolò Machiavelli – suo contemporaneo – aveva sistematizzato nel saggio politico "Il Principe”.
In precedenza, Tommaso Moro si era espresso contro il mantenimento di un esercito come rimedio alla disoccupazione, affermando che la pace avrebbe dovuto essere presa in considerazione molto più della guerra.
Ora, si ribellava alle alleanze e alle conquiste, all’alterazione delle monete, ai princìpi dell’assolutismo e alla tesi secondo la quale la povertà dei sudditi sarebbe stata la garanzia del sovrano.
Il secondo libro di “Utopia” rappresenta la parte costruttiva dell’opera e si basa su quattro princìpi fondamentali:
- Sia in città che in campagna, tutto appartiene a tutti. Ogni dieci anni gli abitanti devono cambiare casa e la nuova dimora deve essere scelta in modo casuale. Le porte non hanno serrature.
- Sia gli uomini che le donne devono imparare a coltivare la terra e scegliere a proprio piacimento di imparare un altro mestiere. La giornata lavorativa dura 6 ore e nelle ore restanti i lavoratori possono dedicarsi ad altre attività, spesso organizzate dallo stato, o al riposo. I pasti si svolgono in comune, in spazi appositamente adibiti, anche se è lasciata la libertà ai singoli di consumarli a casa. Ogni tipo di spreco deve essere evitato.
- Utopia è un’isola divisa in 54 città. L’unità minima è costituita dalla famiglia, ordinata secondo rapporti gerarchici. Una famiglia non comprende mai meno di 40 persone. Ogni gruppo di 30 famiglie elegge un magistrato. Dieci magistrati, a loro volta, eleggono un protofilarca. I protofilarchi sceglieranno un principe da una lista di quattro nomi stilata dal popolo.
- Il compito principale del governo è quello di gestire la produzione e la distribuzione dei beni. Ogni padre può prendere ciò di cui ha bisogno senza dover dare nulla in cambio. Non c’è motivo di rifiutare qualcosa a qualcuno quando c’è abbondanza. Non c’è motivo di essere avidi quando si sa che nulla sarà negato. L’avidità e l’ingordigia sono causate dal terrore della mancanza.
Come si può notare, la società immaginata da Tommaso Moro è molto diversa dalla ‘Repubblica’ di Platone. La famiglia viene preservata, il lavoro manuale è obbligatorio per tutti, non esistono classi sociali e il sistema della proprietà comune si applica a tutti i cittadini. Non è una società aristocratica come quella descritta da Platone: si tratta di un sistema democratico.
La distribuzione del lavoro e l’eliminazione della proprietà sono le condizioni strettamente legate all’uguaglianza e alla libertà civica. Questo ideale deriva da una visione del mondo che non è esattamente quella di Platone, ma che combina strettamente i princìpi del cristianesimo e la dottrina morale di Epicuro.
Utopia può essere interpretata come la teorizzazione di una società governata dalla ragione naturale, in contrasto con le società europee – in particolare quella inglese – caratterizzate da violenza e ingiustizia. Questa società rappresenta il desiderio di un mondo pacifico, dove regnano la cultura e l’armonia tra gli uomini.
È interessante notare come la parola “utopia” sia un neologismo creato dallo stesso Tommaso Moro. Con un gioco di parole che coinvolgeva la latinizzazione del greco, il termine poteva essere interpretato sia come “luogo ottimo” che come “luogo inesistente”.
Moro era evidentemente consapevole dell’impossibilità di realizzare la sua città ideale, come anche il tono ironico di alcune parti della sua opera lasciano trasparire.
Oggi, uno dei significati della parola utopia è proprio “Ideale, speranza, progetto, aspirazione che non può avere attuazione".
La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:
1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone
2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone
6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica
7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce
8. L'economia classica: La distribuzione del reddito
9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say
10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi
11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero
12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico
13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier
14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero
15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale
16. Karl Marx: La teoria del valore
17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico
18. Karl Marx: La tendenza al ribasso del saggio di profitto
19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista
20. L'economia politica neoclassica (più articoli)
21. John Maynard Keynes (più articoli)
22. ...