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Karl Marx 4

La Teoria del plusvalore di Marx: lo sfruttamento capitalistico


22Set2024

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 207 hits
Prima pubblicazione: 21 Settembre 2024

«History repeats itself, first as tragedy, second as farce».

Karl Marx

La teoria del plusvalore proposta da Karl Marx offre una chiave di lettura importante per analizzare le dinamiche di sfruttamento nel sistema capitalistico.

A differenza degli economisti classici, che distinguono tre tipi di redditi primari (salari, profitti e rendite), Marx identifica solo due grandi categorie: i redditi dei lavoratori salariati e quelli dei proprietari dei mezzi di produzione.

La rendita fondiaria, per Marx, non riveste un ruolo di primo piano e, utilizzando il termine plusvalore, si riferisce principalmente al profitto capitalistico.

Marx vede i rapporti tra capitalisti e lavoratori salariati come intrinsecamente conflittuali: l'analisi marxista della distribuzione del reddito è, quindi, essenzialmente un’analisi delle basi economiche della lotta di classe nel sistema di produzione capitalista.

Indice

  1. La teoria del plusvalore
  2. Il processo di produzione capitalistico
  3. Conclusioni

1. La teoria del plusvalore

Joshua Reynolds, Theory (XVIII sec.)

«Da quando i matematici hanno invaso la mia teoria della relatività, nemmeno io la capisco più».

Albert Einstein

Anche per gli economisti classici, la società capitalista era caratterizzata da profonde divergenze di interesse tra le classi.

Nella loro visione, tuttavia, queste divergenze erano considerate naturali e venivano in gran parte mitigate dalle virtù della “mano invisibile”, senza mai minacciare la stabilità del sistema.

Per Marx, invece, l’antagonismo tra classe operaia e borghesia non era affatto naturale, poiché derivava da un preciso modello di produzione ed era la caratteristica dominante di questo sistema.

Poiché il rapporto tra salariati e capitalisti era essenzialmente di sfruttamento, questo conflitto si sarebbe risolto solo con la scomparsa del sistema capitalistico.

Una volta accettata la teoria del valore-lavoro, la teoria dello sfruttamento capitalistico diventa chiara: il valore aggiunto generato dal lavoro viene diviso tra i lavoratori e i proprietari dei mezzi di produzione.

Dal momento che il valore è creato interamente dal lavoro, i lavoratori ricevono come salario solo una parte del lavoro che forniscono.

In questa ipotesi, i salariati sono dunque sfruttati – secondo il concetto marxista – in modo simile a come lo erano i servi della gleba nella società feudale, seppur in forme diverse.

Se i salariati creano, attraverso il loro lavoro, il valore delle merci e ricevono come salario il valore del lavoro fornito, l’origine del profitto risulta incomprensibile, poiché il profitto rappresenta ciò che rimane del valore aggiunto dopo il pagamento dei salari.

Secondo Marx, ciò che i lavoratori vendono ai capitalisti è l’uso della loro forza-lavoro per un determinato periodo. Il salario che ricevono corrisponde quindi al valore di questa merce venduta, ossia il valore della loro forza-lavoro.

Per qualificare il salario, il concetto di valore della forza-lavoro sostituisce quindi quello di valore del lavoro.

I bisogni di consumo legati alla riproduzione della forza-lavoro variano in base alle condizioni della società: secondo Marx, il valore di questa merce include un “elemento morale e storico”, che la distingue dalle altre merci.

Inoltre, il meccanismo che fa gravitare il salario di mercato intorno al salario di sussistenza è interpretato in modo diverso da Marx rispetto agli economisti classici.

Per Marx, quando il salario di mercato supera il livello di sussistenza, la forza che lo riporta a quel livello non è naturale, ma insita nel sistema di produzione capitalista: è la tendenza a generare disoccupazione.

I disoccupati, secondo questa analisi, costituiscono una vera e propria “riserva” da cui i capitalisti possono attingere quando i salariati esprimono richieste salariali eccessive. Pertanto, la disoccupazione non è un incidente del funzionamento dell’economia capitalista, ma un elemento essenziale per il suo funzionamento.

La teoria marxista dello sfruttamento capitalista si riassume quindi nel divario tra il valore della forza-lavoro pagata ai lavoratori e il valore che essa genera. Questo divario, che Marx chiama plusvalore, rappresenta il lavoro non retribuito.

Lo sfruttamento capitalistico, però, non deve essere considerato un furto, come sostenevano autori quali Proudhon.

Infatti, secondo Marx, il capitalista non “ruba” al lavoratore, poiché lo paga per la merce acquistata al suo valore (ossia la sua forza-lavoro). Il problema è che i lavoratori non ricevono, sotto forma di salario, l’equivalente del lavoro che forniscono ai loro datori di lavoro.

Ad esempio, si supponga che un capitalista acquisti 4 ore di lavoro e 1 ora di macchine e materie prime. Il valore del bene sarà quindi pari a 5 ore di lavoro:

  • Valore acquistato: 4 ore (lavoro) + 1 ora (macchine, materie prime) = 5 ore.
  • Valore del bene finale: 4 ore + 1 ora = 5 ore.

In questo caso, non c’è plusvalore e quindi non si genera profitto. Per ottenerlo, è necessario che il valore della forza-lavoro sia inferiore al valore del lavoro prodotto.

Quindi, ad esempio, si può ipotizzare che:

  • Valore acquistato: 2 ore (macchine, materie prime) + 8 ore (valore della forza-lavoro).
    • Valore in valuta delle macchine e delle materie prime = 20.
    • Valore in valuta della forza lavoro = 40 (si ipotizza sia uguale a 5 per ciascuna ora, dunque 5 × 8 = 40, che però corrisponde soltanto a 4 ore del valore del lavoro, pari a 10 per ciascuna ora).
  • Valore del bene finale: 2 ore + 8 ore = 10 ore.
    • Valore in valuta delle macchine e delle materie prime = 20.
    • Valore in valuta della forza-lavoro = 40.
    • Lavoro che produce il plusvalore = 40 (8 ore × 5, dove 5 rappresenta la differenza tra il valore del lavoro, pari a 10, e il valore della forza-lavoro, pari a 5).

Il plusvalore nasce dal fatto che il lavoratore produce più valore di quanto ne riceva sotto forma di salario.

Per Marx, solo il pagamento del lavoro al valore della forza-lavoro è in grado di generare valore aggiunto, che il capitalista sfrutta nella sfera della produzione.

Il salario maschera questo lavoro gratuito, facendo sembrare che il capitalista paghi l’intero valore del lavoro. Questo tipo di sfruttamento era già evidente nell’economia feudale.

Dopo aver spiegato il concetto di plusvalore, Marx introduce la teoria della circolazione del capitale, articolata in tre fasi:

  1. A M
    Il capitalista utilizza il denaro (A) per acquistare le merci (M), che includono forza-lavoro e mezzi di produzione (Mp).
  2. T (lavoro)
    È la fase della produzione, dove si genera il plusvalore e si produce una nuova merce (M’) che ha un valore superiore rispetto a M (dove M’ – M rappresenta il plusvalore).
  3. M’ A’
    Il capitalista ritorna nella sfera dello scambio e vende le merci M’ a un prezzo più alto, ottenendo così un maggior capitale (A’).

Da questa analisi emerge che, per Marx, il capitale non coincide semplicemente con i mezzi di produzione. Confondere queste due cose porta a due errori:

  1. Si attribuisce al capitale la capacità di aumentare la produttività del lavoro, quando sono i mezzi di produzione a farlo, non il capitale stesso.
  2. Si attribuisce a un mezzo di produzione la capacità di generare plusvalore, ma solo il capitale variabile, ossia il lavoro, può farlo.

Il plusvalore è una forma sociale, non un fenomeno naturale: la sua appropriazione da parte del capitalista è una condizione specifica del sistema capitalistico.

Il capitale, secondo Marx, non è una cosa materiale, come i mezzi di produzione, ma un rapporto sociale tra il capitalista e il lavoratore.

2. Il processo di produzione capitalistico

Grant Wood, The product checker (1925)

«Consumption may be regarded as negative production».

Alfred Marshall

Gli economisti classici tendono a suddividere il capitale investito per la produzione in capitale fisso e capitale circolante.

Marx, invece, considera più rilevante distinguere, nella massa totale del capitale avanzato:

  1. Da un lato, la parte del capitale destinata all’acquisto dei mezzi di produzione materiali, che siano durevoli o non durevoli (macchinari, materie prime).
  2. Dall’altro lato, la parte del capitale utilizzata per pagare la forza-lavoro (il fondo salari).

Marx chiama queste due parti rispettivamente capitale costante e capitale variabile. Questi termini non vanno confusi con quelli di capitale fisso e capitale circolante.

Il capitale costante rappresenta il valore già esistente nei mezzi di produzione, mentre il capitale variabile è quello che genera un incremento di valore.

Questo surplus di valore è il frutto dello sfruttamento del lavoro, del quale si appropria il capitalista sotto forma di plusvalore.

Come si è visto, nel processo di produzione capitalistica si passa da A a A’, dove A’ è maggiore di A.

Marx specifica che M’ e A’ sono composti da:

  • M’ = M (valore dei mezzi di produzione) + m (plusvalore).
  • A’ = A (denaro investito all’inizio) + a (plusvalore).

Vediamo ora come si riproduce il processo di sovrapproduzione capitalistica, analizzando il capitale produttivo P:
A M (mezzi di produzione + forza-lavoro) P M'  A'.

Questo processo può essere scomposto nel modo seguente:

  • A → M (mezzi di produzione + forza-lavoro). Il capitalista inizia con una certa somma di denaro (A). Con questo denaro, acquista mezzi di produzione (come macchinari, materie prime) e forza-lavoro. Questo significa che il denaro viene trasformato in beni necessari per la produzione.
  • M → P. I mezzi di produzione e la forza-lavoro vengono combinati nel processo produttivo (P). Durante questo processo, i lavoratori utilizzano i mezzi di produzione per creare nuovi prodotti.
  • P → M' = M + m. Il risultato del processo produttivo è una nuova merce (M’) che ha un valore superiore rispetto ai costi iniziali. Questo perché i lavoratori hanno generato un plusvalore (m) attraverso il loro lavoro, che si aggiunge al valore delle merci prodotte.
  • M + m → A’ = A + a. La merce prodotta viene venduta sul mercato in cambio di denaro. Il capitalista riceve così una somma di denaro (A’) maggiore di quella investita inizialmente. Il plusvalore monetario (a) rappresenta il profitto ottenuto, ossia la differenza tra il denaro speso e quello guadagnato.

Il capitalista può utilizzare A’ in due modi:

  1. Il plusvalore (a) viene interamente consumato in beni di consumo, mentre A viene reinvestito, riportando P allo stesso livello iniziale.
  2. Una parte del plusvalore (a) viene utilizzata per acquistare ulteriore forza-lavoro e mezzi di produzione, portando a un capitale produttivo P’ maggiore di P, poiché la quantità iniziale di M è ora più elevata.

Questo secondo modo di utilizzare a viene definito riproduzione allargata del capitale o accumulazione del capitale.

Il tasso che indica il livello di sfruttamento è rappresentato dal tasso di plusvalore, calcolato come:
Tasso di plusvalore = Plusvalore / Capitale variabile

Assumendo che il lavoro sia pagato al valore della forza-lavoro, esistono tre modi principali per aumentare il tasso di plusvalore:

  1. Aumentare le ore di lavoro.
  2. Aumentare l’intensità del lavoro.
  3. Aumentare la produttività del lavoro.

1. Aumento delle ore di lavoro

Riprendendo l’esempio precedente:

  • Valore = C (capitale costante) + V (capitale variabile) + PL (plusvalore).
  • Tasso di plusvalore = 40/40 = 1 = 100%.

Si supponga ora che il capitalista aumenti la durata del lavoro fino a 10 ore (senza aumentare il salario). In tal caso:

  • Valore = C + V + PL.
  • Tasso di plusvalore = 60/40 = 1,5 = 150%.

Questo tipo di plusvalore è chiamato plusvalore assoluto.

I limiti di questa pratica sono fisici (il massimo teorico è di 24 ore al giorno) e sociali (i lavoratori oppongono resistenza all’aumento delle ore di lavoro).

2. Aumento dell’intensità del lavoro

Anche in questo caso, il lavoratore fornisce più lavoro rispetto a prima, lavorando lo stesso numero di ore ma con maggiore intensità, ossia producendo di più in meno tempo.

L’aumento del tasso di plusvalore dovuto all’aumento dell’intensità ha la stessa origine dell’aumento delle ore di lavoro ed è anch’esso classificato come plusvalore assoluto.

I limiti sono gli stessi dell’aumento delle ore di lavoro.

3. Aumento della produttività del lavoro

Questo aumento si verifica grazie a miglioramenti nelle tecniche di produzione e nell’organizzazione del lavoro, riducendo il tempo necessario per produrre un bene. In questo modo, si può aumentare il tasso di plusvalore senza gravare ulteriormente sul lavoratore.

Marx definisce questa modalità plusvalore relativo.

Perché l’aumento della produttività del lavoro avvantaggia il capitalista e non il lavoratore?

L’aumento della produttività non avvantaggia automaticamente il capitalista: dipende dal rapporto di forza tra capitalista e lavoratore.

Generalmente, l’aumento della produttività favorisce il capitalista, ma in teoria potrebbe tradursi in un aumento dei salari se i lavoratori avessero un maggiore potere contrattuale.

3. Conclusioni

John Henry Twachtman, End of Winter (1890-1895)

«Ogni nuovo inizio proviene dalla fine di un altro inizio».

Seneca

La teoria del plusvalore elaborata da Karl Marx ha offerto una prospettiva rivoluzionaria sulle dinamiche economiche e sociali tra capitalisti e lavoratori all’interno del sistema capitalistico.  

Essa è stata tuttavia oggetto di critiche e revisioni da parte di molti economisti successivi.

Alcuni hanno contestato l’idea che il lavoro sia l’unica fonte di valore, sostenendo che anche altri fattori contribuiscono significativamente.

In particolare, il capitale – inteso come investimenti in macchinari, infrastrutture e risorse finanziarie – e la tecnologia sono stati riconosciuti come elementi chiave che possono aumentare la produttività e, di conseguenza, il valore generato.

Nuove correnti di pensiero economico hanno inoltre introdotto concetti come l’utilità marginale e le preferenze dei consumatori, spostando l’attenzione dalla produzione al consumo.

Secondo queste teorie, il valore di un bene o servizio non è determinato solo dai costi di produzione, ma anche dalla soddisfazione o utilità che esso fornisce al consumatore.

Questo approccio sottolinea la soggettività del valore e come le scelte individuali dei consumatori influenzino la domanda di mercato.

Di conseguenza, fattori come il marketing, le tendenze culturali e le preferenze personali sono diventati elementi cruciali nell’analisi economica moderna, entrando prepotentemente in gioco nel processo di creazione del valore.


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero

15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale

16. Karl Marx: La teoria del valore

17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico

18. Karl Marx: La tendenza al ribasso del saggio di profitto

19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista

20. L'economia politica neoclassica (più articoli)

21. John Maynard Keynes (più articoli)

22. ...

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