John Maynard Keynes: vita, contesto e sviluppo intellettuale
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- Prima pubblicazione: 20 Luglio 2025
«We simply do not know».
John Maynard Keynes
John Maynard Keynes, considerato da molti il più influente economista del Novecento, fu un teorico brillante e una figura straordinariamente poliedrica: il suo pensiero si sviluppò in costante dialogo con gli eventi storici e le sfide culturali del suo tempo.
Per cogliere appieno la portata della sua rivoluzione intellettuale, è fondamentale comprendere le sue radici, le esperienze che ne plasmarono la visione e il lungo percorso che lo portò a superare l’ortodossia economica dominante.
Indice
- Primi anni e formazione
- Dagli incarichi pubblici alle prime pubblicazioni
- Produzione accademica e influenza intellettuale
- La frattura con la teoria classica
1. Primi anni e formazione
John Maynard Keynes nacque a Cambridge il 5 giugno 1883, in una famiglia fortemente legata all’ambiente accademico.
Suo padre, John Neville Keynes, fu un economista di rilievo e un esperto di logica, allievo di Alfred Marshall e, in seguito, rettore dell’Università di Cambridge.
La madre, Florence Brown, fu tra le prime donne a laurearsi nell’ateneo e la prima donna a ricoprire la carica di sindaco della città.
Keynes ricevette un’istruzione di altissimo livello: studiò prima all’Eton College, una delle scuole più prestigiose del Regno Unito, per poi proseguire al King's College di Cambridge, dove si laureò in matematica nel 1905.
Fu proprio a Cambridge che approfondì anche l’economia, guidato da maestri come Alfred Marshall e Arthur Pigou.
Durante gli anni universitari entrò a far parte della società segreta degli Apostles, un circolo elitario di intellettuali dedito alla ricerca della verità.
L’influenza del filosofo George Edward Moore, anch’egli membro del gruppo, fu decisiva: rifiutando l’etica utilitarista, Moore proponeva un ideale fondato sulla coerenza morale e sull’autenticità, elementi che avrebbero segnato in profondità l’approccio di Keynes all’economia come scienza morale.
Sin da giovane, Keynes mostrò una vastità di interessi che, per via della loro varietà, indusse alcuni contemporanei a considerarlo inizialmente come un “dilettante”.
In realtà, questa curiosità intellettuale e la sua formazione eclettica costituirono le fondamenta della sua capacità di interpretare i fenomeni economici da prospettive originali e innovative.
2. Dagli incarichi pubblici alle prime pubblicazioni

Dopo aver completato gli studi, Keynes intraprese la carriera nell'amministrazione pubblica, lavorando all’India Office, l’ente del governo britannico responsabile della gestione coloniale dell’India.
Da questa esperienza trasse ispirazione per la sua prima importante opera in ambito economico, Indian Currency and Finance, un’analisi dedicata al sistema monetario dell’India britannica.
Sebbene affrontasse un tema tecnico e circoscritto, il libro rivelò già l’acutezza del suo pensiero e il forte interesse per le dinamiche monetarie.
Il suo impegno nel settore pubblico crebbe con lo scoppio della Prima guerra mondiale, quando entrò a far parte del Tesoro britannico.
La partecipazione alla Conferenza di pace di Parigi nel 1919 rappresentò un momento importantissimo nella sua carriera e nella sua affermazione pubblica.
Contrario alle condizioni imposte alla Germania, Keynes si dimise dall’incarico e scrisse The Economic Consequences of the Peace, un’opera che ebbe un impatto profondo sul pensiero economico contemporaneo.
Il libro non si limitava a criticare le riparazioni imposte alla Germania, ma ne metteva in dubbio la sostenibilità sul piano esterno, ossia la reale capacità del paese di generare un avanzo commerciale sufficiente per onorarle.
Questa sua intuizione si dimostrò sorprendentemente lungimirante. Il successo dell’opera lo proiettò da economista promettente a figura di rilievo internazionale, alimentando un acceso dibattito tra intellettuali e politici.
Contribuirono alla notorietà anche i ritratti taglienti dei principali leader mondiali presenti alla conferenza, descritti con tono critico e incisivo, che resero il libro oggetto di ampie discussioni e ne rafforzarono l’impatto mediatico.
3. Produzione accademica e influenza intellettuale
Accanto al suo impegno nel settore pubblico e all’attività di scrittore, Keynes mantenne un legame profondo con il mondo accademico.
Ottenne il ruolo di Lecturer a Cambridge, incarico reso inizialmente possibile grazie al sostegno economico di Arthur Pigou.
La sua influenza crebbe molto anche attraverso la direzione dell’Economic Journal, una delle riviste economiche più autorevoli, che guidò dal 1911 al 1946.
In qualità di editore, contribuì in modo decisivo alla diffusione di nuove idee e alla valorizzazione di giovani talenti come Piero Sraffa, di cui pubblicò i primi articoli quando era ancora un giovane economista italiano emergente.
Keynes fu anche segretario della Royal Economic Society, e seppe coniugare l’impegno accademico con una notevole abilità gestionale.
Dal 1924 gestì le finanze del King's College in qualità di Bursar, rafforzandone la solidità attraverso investimenti immobiliari mirati e operazioni speculative in borsa, che dimostrarono la sua notevole capacità di orientarsi con efficacia nei mercati.
Alla produzione scientifica affiancò una costante attività pubblicistica, caratterizzata da una rara combinazione di rigore teorico e senso pratico. Un esempio emblematico della sua profondità intellettuale è A Treatise on Probability, versione rielaborata della sua tesi di fellowship del 1909.
Quest’opera, alla quale dedicò più tempo e attenzione di qualsiasi altra, propose una concezione della probabilità lontana dalle interpretazioni frequentiste, basata invece su un approccio razionalista fondato sul "grado di fiducia ragionevole" in un evento, alla luce delle informazioni disponibili.
In termini più semplici, Keynes tracciò una distinzione fondamentale tra rischio, dove le probabilità sono conoscibili, come nel lancio di un dado, e incertezza, in cui il futuro è intrinsecamente imprevedibile.
Questo concetto di incertezza fondamentale avrebbe costituito un pilastro della sua futura teoria economica.
Nel 1923 pubblicò A Tract on Monetary Reform, un testo in cui analizzava le tensioni economiche del dopoguerra.
Qui si oppose con fermezza al ritorno del Regno Unito al Gold Standard, avvenuto nel 1925, sostenendo che la parità pre-bellica sopravvalutava la sterlina e avrebbe penalizzato l’industria esportatrice, provocando deflazione e disoccupazione.
Per Keynes, la moneta era un elemento attivo del sistema economico, uno "strumento operativo" in grado di influenzare direttamente le decisioni degli attori economici: un’intuizione che avrebbe approfondito in seguito.
Nel 1925, sposò la celebre ballerina russa Lydia Lopokova e, nel 1936, contribuì con risorse personali all’apertura dell’Arts Theatre di Cambridge.
4. La frattura con la teoria classica

«The difficulty lies not so much in developing new ideas as in escaping from old ones».
John Maynard Keynes
Il pensiero di Keynes viene spesso descritto come una “lunga lotta per la fuga” (long struggle of escape) dall’ortodossia economica dominante.
Fu lui stesso il primo a usare questa espressione nella prefazione della General Theory of Employment, Interest and Money, definendo la stesura dell’opera come “una lunga lotta per liberarsi dai modi abituali di pensare e di esprimersi”: si trattava anche di un percorso personale, segnato dalla difficoltà di abbandonare le convinzioni profonde assorbite durante la sua formazione.
La transizione di Keynes richiese un ripensamento radicale dei fondamenti dell’economia e lo portò, passo dopo passo, a costruire una visione alternativa capace di spiegare le crisi e le disfunzioni del capitalismo contemporaneo.
Keynes definiva come “teoria classica” l’approccio rappresentato da autori come Marshall, Edgeworth e Pigou. La sua critica centrale riguardava il fatto che tale impostazione si basava su ipotesi valide soltanto in un caso particolare: quello della piena occupazione.
Per Keynes, assumere questo scenario come norma portava a conclusioni politiche fuorvianti.
Secondo la teoria classica, sintetizzata nella Legge di Say, “l’offerta crea la propria domanda”: il reddito generato dalla produzione sarebbe sempre sufficiente per acquistare l’intera quantità di beni prodotti, escludendo così la possibilità di una crisi generalizzata da sovrapproduzione.
Il ragionamento si basa sull’idea che ogni atto produttivo distribuisce reddito ai fattori: salari ai lavoratori, profitti agli imprenditori e rendite ai proprietari. Essi vengono poi spesi interamente in beni e servizi.
In questo schema, il reddito distribuito corrisponde alla domanda necessaria per assorbire l’offerta: la produzione genera domanda nella stessa misura in cui distribuisce potere d’acquisto.
Ne consegue che la disoccupazione, in tale visione, può essere solo temporanea o volontaria, e mai il risultato di un'insufficienza cronica di domanda.
Keynes mise in seria discussione questa prospettiva. Secondo lui, l’economia era una scienza morale, non una disciplina esatta dotata di leggi immutabili.
Contestava in particolare l’idea che tutto il reddito venisse automaticamente speso: una parte può essere risparmiata, ma il risparmio non si trasforma necessariamente in investimento produttivo.
Se una parte del reddito prodotto non viene reinvestita in nuovi progetti o attività produttive, si crea un vuoto nella domanda: in altre parole, ci sono meno persone disposte a spendere per acquistare beni e servizi.
Questo significa che le imprese non riescono a vendere tutto ciò che producono. Di fronte a un calo delle vendite, riducono la produzione, licenziano lavoratori e il reddito complessivo della società diminuisce.
È in questo contesto che può emergere una crisi dovuta a domanda insufficiente, con conseguente disoccupazione diffusa.
La teoria classica escludeva questo scenario perché assumeva che tutto il reddito venisse automaticamente speso o reinvestito, garantendo così un equilibrio stabile.
Keynes, invece, dimostrò che questo equilibrio poteva esistere anche a livelli molto bassi di occupazione e produzione, aprendo la strada a una nuova interpretazione delle crisi economiche.
Ribaltando i concetti centrali dell’ortodossia, sostituì l’idea di “conoscenza perfetta” con quella di “incertezza” e “ignoranza”, sostenendo che la conoscenza economica è “vaga e scarsa”.
Un nodo concettuale fondamentale della sua rottura con la teoria classica fu la cosiddetta fallacia di composizione (fallacy of composition).
Keynes sosteneva che ciò che è razionale per il singolo, non lo è necessariamente per l’intero sistema.
Un esempio chiarisce meglio questo concetto: se un individuo decide di risparmiare di più, può effettivamente aumentare la propria ricchezza. Ma se tutti scelgono di risparmiare contemporaneamente, la domanda aggregata si riduce.
Le imprese, vendendo meno, riducono la produzione e licenziano i lavoratori. Il reddito complessivo si contrae e, paradossalmente, l’intento collettivo di risparmiare genera una società più povera.
Questo meccanismo spiegava la possibilità di carenze persistenti di domanda e di equilibri con disoccupazione, in netto contrasto con la visione classica.
La sua attenzione alla disputa tra Malthus e Ricardo sul tema dell’eccesso di offerta fu particolarmente importante. Keynes apprezzava l’approccio empirico di Malthus, fondato sull’osservazione della realtà, e criticava l’astrattezza dei modelli ricardiani.
Arrivò a sostenere che, se l’economia del XIX secolo si fosse sviluppata a partire dalle intuizioni di Malthus invece che da quelle di Ricardo, il mondo sarebbe oggi “più saggio e più ricco”.
Già nel 1926, con il pamphlet The End of Laissez-Faire, Keynes riconosceva il tramonto di un’ideologia.
Da questa presa di coscienza derivava il suo sostegno a un ruolo attivo dello Stato: non per distruggere il capitalismo, ma per correggerne le debolezze strutturali, in particolare la disoccupazione e la distribuzione iniqua del reddito.
Un momento decisivo nel suo percorso intellettuale fu il confronto con il Cambridge Circus, un gruppo di giovani economisti — tra cui Joan Robinson e Richard Kahn — che analizzarono in modo critico il suo Treatise on Money.
Le loro osservazioni mostrarono che le tesi centrali del libro funzionavano solo se si assumeva la piena occupazione, e quindi non riuscivano a spiegare le cause della Grande depressione.
Questo portò Keynes a superare quella visione e a sviluppare una nuova teoria, capace di descrivere situazioni in cui l’economia si stabilizza anche con alti livelli di disoccupazione: una svolta che troverà piena formulazione nella Teoria Generale.
La sua rivoluzione fu il risultato di un’evoluzione complessa, fatta di confronti, revisioni e aggiustamenti teorici.
La traiettoria intellettuale di Keynes fu guidata dalla ricerca di un’economia capace di rispondere alle sfide del mondo reale.
La sua formazione eclettica, le esperienze pratiche e il rifiuto dei limiti della teoria classica lo portarono a una profonda trasformazione del modo di concepire l’economia e il ruolo dello Stato nella società.
La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:
1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone
2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone
6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica
7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce
8. L'economia classica: La distribuzione del reddito
9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say
10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi
11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero
12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico
13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier
14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero
15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale
16. Karl Marx: La teoria del valore
17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico
18. Karl Marx: La caduta tendenziale del saggio di profitto
19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista
20. L'economia neoclassica: La rivoluzione marginalista
21. L'economia neoclassica: La Scuola Austriaca di economia. Origini, sviluppi ed eredità
22. L’economia neocassica: I contributi di Clark, Wicksteed, Wicksell, Edgeworth e Fisher
23. L'economia neoclassica: Alfred Marshall e l'economia moderna. Idee, metodo ed eredità
24. La Scuola Storica Tedesca di economia
25. John Maynard Keynes: Vita, contesto e sviluppo intellettuale
26. John Maynard Keynes (altri articoli)
27. La Scuola Austriaca di Economia: Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek (più articoli)
28. Joseph Schumpeter (più articoli)
29. Piero Sraffa
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