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Preferenze sociali 3: come gli incentivi e le politiche pubbliche possono favorire cooperazione ed equità

11. Comprendere le preferenze sociali per costruire una società più giusta e collaborativa


17Ago2025

Information
Andrea Gonzali Finanza comportamentale 37 hits
Prima pubblicazione: 18 Agosto 2025 Stampa

«L'educazione dovrebbe inculcare l'idea che l'umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione».

Bertrand Russell

Negli articoli precedenti sulle preferenze sociali abbiamo visto come le persone non siano spinte unicamente dall’interesse personale, ma prendano in considerazione anche il benessere altrui.

Il quadro è, tuttavia, più articolato di quanto possa sembrare: quello che appare come autentico altruismo – il desiderio sincero di aiutare gli altri per il loro bene – può essere influenzato da motivazioni più sottili, legate all’immagine sociale, alla percezione di sé o alla reciprocità.

Ricerche empiriche mostrano, ad esempio, che quando si offre la possibilità di agire in modo meno generoso senza essere osservati, molte persone tendono a sfruttarla, risultando meno altruiste di quanto suggeriscano esperimenti semplici come il Dictator Game o l’Ultimatum Game.

Comprendere queste dinamiche consente di indagare in profondità le motivazioni alla base dei comportamenti e di osservare come le preferenze sociali si manifestano nella vita reale. Inoltre, permette di individuare modalità per orientarle o persino plasmarle attraverso politiche pubbliche e interventi mirati.

In questo articolo, ci concentreremo proprio sulle applicazioni concrete di tali evidenze, analizzandone l’impatto sul contesto lavorativo e sulla prosocialità, e approfondendo la tendenza umana a sottovalutare i benefici derivanti dagli atti di gentilezza.

Indice

  1. Preferenze sociali sul lavoro: incentivi, produttività e benessere
  2. Promuovere la prosocialità con le politiche pubbliche: l’ipotesi del contatto
  3. La sottovalutazione dei benefici della prosocialità
  4. Conclusioni e spunti per le politiche pubbliche

1. Preferenze sociali sul lavoro: incentivi, produttività e benessere

Il luogo di lavoro rappresenta un contesto privilegiato per osservare come le preferenze sociali influenzino i comportamenti individuali e collettivi.

In particolare, le modalità di retribuzione possono avere effetti inattesi su produttività e morale, spesso mediati da percezioni di equità e dalle relazioni tra colleghi.

Un esempio rilevante proviene da uno studio di Bandiera, Barankay e Rasul, che ha analizzato l’impatto della retribuzione relativa sulla produttività.

La ricerca, condotta su raccoglitori di frutta nel Regno Unito, ha confrontato due schemi di pagamento: il cottimo (compenso per unità prodotta) e la retribuzione relativa (il salario dipende dalla produttività rispetto agli altri).

Sebbene la retribuzione relativa possa sembrare un incentivo efficace per spingere a superare i colleghi, essa introduce un’importante esternalità negativa: un aumento della produttività individuale riduce la retribuzione degli altri.

Immaginiamo tre amici, Tizio, Caio e Sempronio, pagati in base alla produttività media del gruppo: se Tizio aumenta il proprio raccolto, il suo stipendio cresce, ma quello di Caio e Sempronio cala, anche se il loro rendimento resta invariato.

In contesti in cui i lavoratori si preoccupano per il benessere dei colleghi – specialmente degli amici – ciò può portarli a ridurre l’impegno per non danneggiarli.

Lo studio ha evidenziato che passando dalla retribuzione relativa al cottimo la produttività è cresciuta di oltre il 50%.

Con la retribuzione relativa, i raccoglitori mantenevano una media di circa 5 kg/ora, probabilmente per un tacito accordo a non lavorare troppo. L’aumento non era legato a un incremento della tariffa a cottimo, che anzi era più bassa, ma alla scomparsa dell’effetto negativo sugli altri.

Per capire se questo comportamento derivasse da altruismo puro o dalla paura di ritorsioni sociali, i ricercatori hanno sfruttato una diversa osservabilità dello sforzo a seconda del frutto raccolto: le fragole, basse e ben visibili, permettono di monitorare facilmente i colleghi; i lamponi, invece, crescono su cespugli, consentendo di nascondere il proprio ritmo.

Il passaggio al cottimo ha aumentato la produttività solo per i lamponi: quando il lavoro extra non era visibile, i raccoglitori lavoravano di più; quando lo era, la paura di critiche o sanzioni sociali li induceva a trattenersi.

Ciò indica che la dinamica osservata era guidata soprattutto dalla pressione sociale piuttosto che da un altruismo disinteressato.

Una diversa ma importante prospettiva riguarda l’effetto della disuguaglianza salariale sul morale, come mostrato dalla ricerca di Breza, Kaur e Shamdasani localizzata nell'India rurale.

Lo studio ha esplorato perché, in molti contesti, i salari tendano a essere uniformi, ossia simili anche tra lavoratori con produttività diverse.

Le interviste hanno rivelato un’aspettativa di conflitti e di minore collaborazione in presenza di salari disuguali all’interno di un team, anche senza conoscerne il motivo.

Per verificarlo, i ricercatori hanno assegnato in modo casuale diversi schemi retributivi a gruppi di tre lavoratori:

  • Alcuni gruppi operavano con regimi eterogenei, in cui chi produceva di più guadagnava di più.
  • Altri erano organizzati con regimi uniformi, dove tutti ricevevano più o meno la stessa cifra, indipendentemente dalla produttività individuale; il livello retributivo complessivo del gruppo poteva essere basso, medio o alto.

I risultati mostrano che, nei regimi eterogenei, i lavoratori a bassa retribuzione producevano meno rispetto ai loro pari nei gruppi a paga uniforme.

Sorprendentemente, anche i più produttivi rendevano meno in un regime eterogeneo rispetto ai colleghi altrettanto produttivi che lavoravano in un contesto a paga simile.

La disuguaglianza, dunque, non penalizzava solo chi guadagnava meno, ma indeboliva la cooperazione e creava tensioni anche tra chi ne traeva beneficio economico.

Dallo studio si può concludere che, per attenuare gli effetti negativi della disparità, conta soprattutto che essa sia percepita come giustificata:

  • Se la produttività è facilmente osservabile e le differenze di rendimento sono chiare, le differenze salariali sono più accettate e il calo di produttività è minore.
  • Al contrario, quando le ragioni non sono evidenti o condivise, morale e rendimento crollano.

Per i datori di lavoro, questo sottolinea quanto sia importante considerare le norme di equità e la percezione di giustizia nelle politiche retributive, perché ignorarle può avere costi elevati in termini di prestazioni complessive.

2. Promuovere la prosocialità con le politiche pubbliche: l’ipotesi del contatto

Richard Lindner, Contact (XX sec.)

«Ti toccai e si fermò la mia vita».

Pablo Neruda

Un’altra questione rilevante sulle preferenze sociali riguarda la loro malleabilità: è possibile che politiche pubbliche o interventi mirati incoraggino dei comportamenti prosociali?

L’ipotesi del contatto, formulata da Gordon Allport nel 1954 in The Nature of Prejudice, sostiene che l’interazione interpersonale – se avviene in determinate condizioni – può ridurre i pregiudizi e modificare le attitudini.

Le ricerche più recenti offrono solide prove della sua validità.

Tra gli esempi più rilevanti vi è lo studio di Rao sull’integrazione di studenti ricchi e poveri nelle scuole di Delhi.

Nel 2007, una riforma ha introdotto una quota del 20% di ammissioni per studenti provenienti da famiglie a basso reddito nelle scuole private d’élite della città. Questa misura ha generato una variazione spontanea nell’esposizione degli studenti ricchi a coetanei meno privilegiati.

Lo studio ha misurato la generosità attraverso il Dictator Game e il volontariato per progetti scolastici, mentre la discriminazione è stata valutata osservando le scelte di compagni per gare sportive e attività sociali.

I risultati sono stati notevoli: gli studenti ricchi esposti per anni a compagni poveri hanno donato, in media, il 35% della somma a disposizione nel Dictator Game verso bambini poveri, contro il 25% dei coetanei nelle scuole di controllo.

Si tratta di un aumento di 10 punti percentuali: quasi il 40% in più rispetto alla base iniziale. L’effetto era più marcato nelle classi con una maggiore presenza di studenti poveri e coincideva temporalmente con l’introduzione della quota del 20% di ammissioni riservate a studenti provenienti da famiglie a basso reddito, a supporto di un impatto causale.

La generosità non è cresciuta solo verso i bambini poveri, ma anche – seppur in misura minore – verso altri studenti ricchi: questo risultato suggerisce che l’esposizione ai coetanei meno privilegiati abbia reso gli studenti più sensibili all’iniquità in generale.

Lo studio ha esaminato anche la discriminazione, osservando le scelte di compagni di staffetta: di fronte all’alternativa tra un compagno ricco ma più lento e uno povero ma più veloce, gli studenti delle classi in cui era stata introdotta la quota del 20% erano molto meno inclini a scegliere un compagno ricco come loro, preferendo più spesso il compagno povero ma veloce.

L’effetto era più forte nelle gare meno importanti, segnalando che, quando la posta in gioco era bassa, gli studenti percepivano come meno “costoso” scegliere un compagno di status sociale diverso; con il crescere dell’importanza della gara, invece, tendevano a privilegiare compagni simili a loro.

Un importante aspetto metodologico dello studio è che non si è limitato a confrontare intere classi, ma ha analizzato anche le differenze all’interno della stessa classe.

In alcune scuole, infatti, gli studenti venivano assegnati in coppie di studio in modo casuale (ad esempio in base all’ordine alfabetico dei nomi): questo ha permesso di isolare l’effetto delle interazioni dirette tra studenti ricchi e poveri, separandolo da eventuali cambiamenti generali dovuti all’intera classe (come nuove modalità di insegnamento o programmi comuni).

I risultati hanno mostrato che, quando uno studente ricco aveva come partner di studio uno studente povero, la sua prosocialità aumentava parecchio, confermando il ruolo decisivo del contatto diretto.

Dal punto di vista delle politiche pubbliche, è rilevante notare che l’iniziativa non ha compromesso i risultati accademici: l’esposizione a studenti poveri non ha ridotto i punteggi medi nei test o in materie chiave come hindi e matematica, e la lieve flessione nei punteggi di inglese è stata trascurabile rispetto ai benefici sociali ottenuti.

Altre prove a sostegno arrivano da contesti diversi. Uno studio di Lowe sui tornei di cricket in India ha mostrato che il contatto collaborativo – giocare nella stessa squadra con persone di caste diverse – favorisce le interazioni tra caste, la prosocialità e la propensione agli scambi economici.

Al contrario, il contatto competitivo – giocare contro persone di caste diverse – non portava benefici e, in alcuni casi, rafforzava i pregiudizi.

Analogamente, una ricerca di Corno, La Ferrara e Burns svoltasi in Sudafrica ha rilevato che la convivenza casuale tra studenti bianchi e neri nelle residenze universitarie riduceva gli stereotipi, favoriva amicizie interrazziali e migliorava i risultati accademici, riducendo al contempo gli abbandoni tra gli studenti neri.

Queste evidenze confermano che la natura del contatto è decisiva: collaborare per obiettivi comuni favorisce integrazione e comportamenti prosociali, mentre la competizione può produrre l’effetto opposto.

3. La sottovalutazione dei benefici della prosocialità

Un ambito di ricerca interessante studia se le persone abbiano convinzioni distorte sull’impatto dei propri atti prosociali, finendo per sottovalutarne i benefici.

Lo studio di Kumar ed Epley si focalizza in particolare sulle lettere di gratitudine, con lo scopo di esplorare questa dinamica.

Compiere un atto prosociale implica spesso stimarne l’effetto sul destinatario. Un diffuso bias egocentrico porta però a proiettare i propri stati d’animo e le proprie preoccupazioni sugli altri, con il rischio di sottovalutare l’impatto positivo di un gesto gentile. 

Ad esempio, quando si chiede di scrivere una lettera di gratitudine, molte persone immaginano che l’esperienza sarà imbarazzante per loro e che il destinatario proverà disagio o solo un lieve aumento di felicità.

Negli esperimenti, Kumar ed Epley hanno chiesto ai partecipanti di prevedere come si sarebbero sentiti loro stessi e il destinatario dopo l’invio di una lettera di gratitudine, confrontando poi queste previsioni con le reazioni reali.

I risultati mostrano che i destinatari erano più sorpresi e di umore molto migliore rispetto a quanto previsto dai mittenti. In altre parole, molte persone esitano a compiere gesti gentili per paura di un disagio che in realtà non si verifica, e faticano a immaginare la gioia autentica che possono suscitare nell’altro.

Questa tendenza non riguarda solo le lettere di gratitudine. Studi simili mostrano che le persone provano più felicità del previsto dopo atti casuali di gentilezza o semplici conversazioni con estranei.

Questo “errore di previsione” può portare a una scarsa propensione alla prosocialità nella vita di tutti i giorni. 

Se si fosse più consapevoli della felicità che tali azioni possono generare negli altri – e in sé stessi – si sarebbe più motivati a compierle, favorendo una società più gentile e collaborativa.

4. Conclusioni e spunti per le politiche pubbliche

L’analisi delle preferenze sociali in contesti reali mostra un insieme di dinamiche complesse, ma ricche di spunti.

Le persone si preoccupano del benessere altrui e agiscono in modo prosociale, ma spesso tali azioni sono guidate più dall’immagine sociale o dalla percezione di sé che da un altruismo puro.

Questa sensibilità alle circostanze e alle norme sociali è una leva fondamentale per orientare i comportamenti.

Le implicazioni per le politiche sono rilevanti. Nel mondo del lavoro, ad esempio, è essenziale che i datori di lavoro progettino con cura gli schemi di incentivazione: la retribuzione relativa, pur potendo sembrare motivante, può ridurre l’impegno se i lavoratori temono di danneggiare i colleghi o di subire ritorsioni.

La disuguaglianza salariale, soprattutto quando percepita come ingiusta, può minare il morale e la produttività dell’intero team, non solo dei meno pagati.

La chiave sta nel capire cosa viene percepito come equo e allineare le politiche retributive a tali percezioni.

Le preferenze sociali non sono immutabili: possono essere plasmate da fattori esterni: l’ipotesi del contatto è un potente strumento per favorire la prosocialità e ridurre la discriminazione.

Le iniziative che incoraggiano il contatto collaborativo tra gruppi diversi – come l'integrazione tra studenti o la creazione di squadre composte da persone di differenti origini – possono accrescere tolleranza, generosità e apertura sociale.

Le politiche che facilitano queste interazioni, ad esempio attraverso ambienti scolastici o lavorativi inclusivi, contribuiscono a rafforzare la coesione sociale.

Infine, la tendenza a sottostimare i benefici degli atti prosociali può alimentare un circolo vizioso: le persone agiscono meno di quanto potrebbero perché non percepiscono l’impatto positivo che avrebbero sugli altri e su sé stesse.

Interventi mirati a correggere queste convinzioni – ad esempio campagne di sensibilizzazione o incentivi alla pratica di piccoli atti di gentilezza – potrebbero favorire la diffusione di comportamenti prosociali.

Anche se l’idea di un altruismo totalmente disinteressato risulta ridimensionata, comprendere le motivazioni e le circostanze che incoraggiano la prosocialità consente di progettare sistemi e politiche capaci di promuovere cooperazione, generosità e integrazione, creando ambienti più funzionali e armoniosi.

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