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Friedrich August von Hayek. L'architettura della libertà: la conoscenza e l'ordine spontaneo

Friedrich August von Hayek e i limiti della ragione: libertà, conoscenza e ordine spontaneo


13Dic2025

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 20 hits
Prima pubblicazione: 13 Dicembre 2025

«The idea of social justice is that the state should treat different people unequally in order to make them equal».

Friedrich von Hayek

Friedrich August von Hayek è stato una delle principali voci del pensiero economico e politico del XX secolo.

Sebbene il suo nome sia indissolubilmente legato alla Scuola Austriaca di economia e al suo maestro, Ludwig von Mises, il percorso di Hayek si distingue per l’originalità con cui ha superato i confini dell’economia, estendendo le sue riflessioni alla psicologia, alla teoria del diritto e alla filosofia politica.

Mentre Mises aveva posto le basi logiche e prasseologiche della critica al socialismo, Hayek ha allargato lo sguardo indagando i limiti della ragione umana e la natura della conoscenza.

In altri termini, mentre per Mises il socialismo è irrealizzabile sul piano del calcolo economico, per Hayek fallisce perché richiederebbe una conoscenza totale che la mente umana non possiede.

Indice

  1. Alle origini del pensiero di Hayek: conoscenza e limiti della ragione
  2. Mercato, ordine spontaneo e il problema dell’inflazione
  3. Il pericolo del collettivismo e la difesa della libertà
  4. Il liberalismo di Hayek: critiche e nuove prospettive
  5. Conclusioni

1. Alle origini del pensiero di Hayek: conoscenza e limiti della ragione

Il pensiero di Hayek si sviluppa in un’epoca segnata dall’ascesa dei totalitarismi in Europa e dall’affermazione delle teorie keynesiane nei paesi anglosassoni.

Hayek, che aveva trascorso buona parte della sua vita adulta in Austria e a stretto contatto con l’ambiente intellettuale tedesco, osservò con preoccupazione come le tendenze socialiste e pianificatrici non rappresentassero l’opposto del fascismo e del nazismo ma, piuttosto, il terreno fertile da cui questi regimi erano nati.

Notò come molti leader nazisti e fascisti avessero iniziato la loro carriera come socialisti: secondo lui, la mentalità restava la stessa, cambiava soltanto il simbolo.

Il rapporto con Ludwig von Mises fu fondamentale nella formazione di Hayek. Entrambi appartenevano alla seconda generazione di discepoli di Carl Menger.

Mentre Mises aveva focalizzato la sua critica sul problema dell’impossibilità del calcolo economico nel socialismo, Hayek portò l’attenzione su una questione epistemologica più ampia: il tema della conoscenza.

Secondo Hayek, difendere il mercato implicava riconoscere i limiti della conoscenza umana di fronte alla complessità del mondo.

Uno dei contributi più innovativi di Hayek, centrale nella sua filosofia economica, riguarda l’analisi della dispersione della conoscenza.

Nel celebre articolo The Use of Knowledge in Society, Hayek sostiene che il vero problema economico consiste nel saper utilizzare una conoscenza che non si trova mai raccolta in un solo luogo, ma che è sempre frammentata, incompleta e spesso contraddittoria, dispersa tra milioni di individui.

Secondo Hayek, esistono due tipi di conoscenza: quella scientifica o teorica, e quella relativa alle “circostanze particolari di tempo e luogo”.

Su questo punto insiste molto, criticando l’eccessiva attenzione accademica verso la conoscenza teorica, a scapito di quella pratica.

Vi è, infatti, un sapere che appartiene soltanto al man on the spot (l'uomo sul posto): l’agente immobiliare che nota come una strada stia diventando di moda, lo spedizioniere che sa di una nave con un carico ancora da riempire, oppure il capofabbrica che conosce una soluzione per far ripartire un vecchio macchinario.

A prima vista questo richiamo alle circostanze particolari di tempo e luogo può ricordare la sensibilità della Scuola Storica Tedesca, ma in Hayek ha una funzione opposta: serve a mostrare il presupposto delle leggi generali dell'economia, cioè il fatto che solo istituzioni come i prezzi e il diritto possono coordinare una conoscenza così locale e dispersa.

Questa conoscenza, però, è tutt’altro che stabile. Sono informazioni fugaci, quasi impossibili da trasmettere a un comitato centrale di pianificazione prima che l’opportunità venga colta altrove o si perda definitivamente.

Il pianificatore centrale si affida inevitabilmente alle statistiche aggregate per prendere decisioni produttive. Tuttavia, la statistica, per sua natura, tende a cancellare le differenze specifiche a favore delle medie generali.

Hayek sottolinea che il funzionamento dell’economia si regge proprio su quelle “piccole differenze” che la statistica elimina: sono i dettagli particolari a generare profitto ed efficienza, non le medie.

Nessuna autorità centrale, per quanto competente, può sperare di raccogliere e utilizzare in tempo reale l’enorme quantità di informazioni disperse e volatili che caratterizzano il mercato.

A questo punto, entra in gioco il sistema dei prezzi. Hayek descrive il mercato come un vero e proprio sistema di telecomunicazione, in cui i prezzi agiscono da segnali che racchiudono e trasmettono le informazioni essenziali.

Facciamo un esempio. Immaginiamo che una galleria crolli in una miniera dall’altra parte del mondo, riducendo l’offerta globale di stagno: il prezzo della materia prima sui mercati internazionali sale rapidamente passando, ipotizziamo, da 10 a 15 euro al chilo.

Un produttore di lattine in Italia non ha bisogno di informarsi direttamente sull’incidente: gli basta osservare che i costi di produzione sono aumentati del 50%.

Il nuovo prezzo gli manda un segnale preciso: risparmia lo stagno! Di conseguenza, l'imprenditore cercherà materiali alternativi o ridurrà la produzione di lattine, senza bisogno dell'intervento dell'autorità centrale.

Il sistema dei prezzi permette agli imprenditori di agire “come se” conoscessero tutti i dettagli dell’economia globale, pur avendo accesso solo ai prezzi del proprio settore. In questo modo, il mercato diventa un meccanismo che consente di utilizzare al meglio la conoscenza dispersa.

Questa impostazione epistemologica porta Hayek a una critica decisa di quello che definisce “atteggiamento scientista”: l’applicazione automatica e acritica dei metodi delle scienze fisiche allo studio della società.

Si tratta di un contributo fondamentale che gli valse il Premio Nobel per l'Economia nel 1974, insieme a Gunnar Myrdal. L’Accademia di Svezia riconobbe il suo «lavoro pionieristico nella teoria della moneta e delle fluttuazioni economiche» e la sua «analisi penetrante dell’interdipendenza dei fenomeni economici, sociali e istituzionali».

Nel suo celebre discorso per il Nobel, The Pretence of Knowledge, Hayek mette in guardia dall’illusione che gli economisti possano modellare la società con la stessa precisione degli ingegneri che costruiscono ponti.

Nelle scienze sociali ci si confronta con fenomeni di “complessità organizzata”. Hayek distingue nettamente tra fenomeni semplici, come il moto di una palla da biliardo, dove poche variabili determinano il risultato, e fenomeni complessi, come il mercato azionario o l’evoluzione biologica, in cui il numero di variabili è così elevato da renderne impossibile la piena comprensione.

L’errore, secondo Hayek, sta proprio nel voler trattare l’economia come se fosse una scienza fisica, dando origine a quella che chiama “ingegneria sociale”: l’illusione di poter smontare e ricostruire la società a proprio piacimento.

Nelle scienze fisiche è possibile isolare poche variabili; in economia, invece, ci si confronta con strutture che dipendono da un numero enorme di fattori.

La differenza può essere resa con una metafora: un orologio può essere smontato, studiato in ogni singolo componente e poi rimontato con precisione.

Una società, invece, somiglia molto di più a un giardino: il giardiniere può preparare le condizioni migliori per la crescita, ma non può prevedere in anticipo quanto o in quale direzione crescerà ciascun filo d’erba.

Questa distinzione tra sistemi semplici e sistemi complessi permette di comprendere meglio perché, secondo Hayek, i tentativi di controllo centralizzato finiscono per fallire.

Ed è proprio nell’ordine spontaneo del mercato e nelle sue implicazioni pratiche, come i cicli economici e l’inflazione, che questa idea trova la sua espressione più concreta.

2. Mercato, ordine spontaneo e il problema dell’inflazione

Su queste basi si fonda la concezione della libertà secondo Hayek: la libertà individuale è una necessità che deriva dalla nostra inevitabile ignoranza.

Se fossimo onniscienti e in grado di prevedere ogni evento, la libertà avrebbe poco senso. È proprio perché non possiamo conoscere tutto che la libertà diventa essenziale: solo così resta spazio all’imprevedibile e all’imponderabile.

Hayek sottolinea che il progresso della civiltà è possibile proprio grazie al verificarsi di “incidenti” fortunati: combinazioni imprevedibili di conoscenze e abilità che nessun pianificatore potrebbe prevedere.

Limitare la libertà significa ostacolare questo processo di scoperta. L’ordine che nasce in una società libera emerge spontaneamente dalle azioni individuali, senza che nessuno lo abbia progettato a tavolino.

Un esempio può essere la lingua che parliamo, o i sentieri che si formano nel bosco grazie al passaggio dei camminatori: nascono spontaneamente, ma rispondono perfettamente alle esigenze della comunità.

L'applicazione pratica di questo principio trova il suo campo di battaglia nel confronto con John Maynard Keynes. Il dibattito tra Hayek e Keynes negli anni Trenta rappresenta uno degli snodi più importanti della storia economica del Novecento.

Keynes, preoccupato dalla disoccupazione di massa, sosteneva la necessità di stimolare la domanda aggregata, mentre Hayek vedeva in queste politiche un grave rischio per la stabilità di lungo periodo.

Per Hayek, l’inflazione è sempre il risultato di errori o debolezze nella gestione della politica monetaria. Hayek criticava la visione keynesiana secondo cui si potrebbe ridurre la disoccupazione abbassando i salari reali attraverso la svalutazione della moneta.

L’inflazione può dare un sollievo temporaneo, paragonabile a quello di una droga, ma crea distorsioni nei prezzi relativi e porta a una cattiva allocazione delle risorse.

Facciamo un esempio: se la Banca Centrale stampa denaro e abbassa artificialmente i tassi d’interesse dall’8% al 2%, un imprenditore, attratto dal credito a basso costo, potrebbe decidere di costruire un hotel di lusso che garantisce un rendimento del 4%.

A un tasso dell’8%, quel progetto sarebbe stato scartato perché antieconomico, ma con tassi “drogati” l’hotel viene costruito, generando occupazione e domanda di materiali.

All’apparenza sembra l’inizio di una nuova fase di prosperità. Tuttavia, quando l’inflazione cresce e la banca centrale deve riportare i tassi all’8%, l’imprenditore scopre che il suo investimento non regge. L’hotel chiude e i lavoratori perdono il posto.

Secondo Hayek, è così che nascono i cicli economici: l’intervento statale, alterando il funzionamento del mercato, porta gli imprenditori a compiere scelte sbagliate e a intraprendere investimenti insostenibili.

Questa dinamica mostra quanto possa essere fragile un sistema economico quando è guidato da decisioni centralizzate anziché dai segnali di mercato.

Ma, per Hayek, le distorsioni economiche sono solo una parte del problema: la pianificazione rischia infatti di generare conseguenze politiche ben più profonde, mettendo in discussione la libertà individuale e le condizioni stesse dello Stato di diritto.

3. Il pericolo del collettivismo e la difesa della libertà

Malcolm Morley, Statua della Libertà (1986)

Nel suo libro più famoso, The Road to Serfdom (La via della schiavitù), Hayek mette in guardia contro i pericoli della pianificazione economica centralizzata.

In quest'opera, va oltre la semplice analisi economica e mette in luce una conseguenza politica fondamentale: non può esistere un compromesso stabile tra concorrenza e pianificazione centrale.

Molti socialisti democratici pensavano di poter conciliare la pianificazione economica con la libertà politica, quella che Hayek definisce “La Grande Utopia”.

Nel suo libro, però, mostra come questo sogno sia destinato a trasformarsi inevitabilmente in un incubo.

Il punto centrale è che la pianificazione economica presuppone l’esistenza di un codice etico condiviso da tutta la società. Se lo Stato deve dirigere l’economia, è costretto a stabilire delle priorità: per esempio, decidere se costruire più ospedali o più scuole, oppure se sia più importante produrre scarpe o missili.

In una società complessa, però, non esiste un accordo unanime su queste decisioni. Quando il Parlamento cerca di redigere un piano economico unico, finisce inevitabilmente per rimanere bloccato dai conflitti tra interessi diversi: gli agricoltori vogliono una cosa, gli operai un’altra, i medici un’altra ancora.

Di fronte a queste difficoltà, il malcontento cresce e l’opinione pubblica accusa la politica di immobilismo. Si fa così strada la richiesta di un “uomo forte”, un tecnico o un dittatore economico capace di agire senza i vincoli delle procedure democratiche. 

Per questo motivo, come sottolinea Hayek nel capitolo Perché emergono i peggiori, i regimi totalitari tendono a selezionare leader spregiudicati: il dittatore deve imporre un accordo dove non c’è, usando la propaganda o la forza per costringere la minoranza a sottomettersi alla maggioranza, o viceversa.

Hayek osserva inoltre che, quando tutti i mezzi economici sono sotto il controllo dello Stato, anche la realizzazione dei fini individuali finisce per dipendere dalle decisioni dell’autorità centrale: in un’economia pianificata, l’individuo diventa uno strumento al servizio del potere politico.

Il controllo sull’economia, quindi, si trasforma in controllo sulla vita stessa: se lo Stato è l’unico datore di lavoro, l’opposizione politica può facilmente essere punita con l’esclusione dai mezzi di sussistenza.

È quanto aveva già rilevato Lev Trockij sottolineando come, in queste condizioni, il vecchio principio secondo cui "chi non lavora non mangia" viene sostituito da uno nuovo: "chi non obbedisce non mangia".

Per evitare questa deriva, in The Constitution of Liberty, Hayek dedica ampio spazio a definire con rigore il concetto di libertà e di Stato di diritto (rule of law).

Secondo lui, la libertà si identifica con l’assenza di coercizione: una persona è libera quando può seguire i propri progetti senza essere costretta ad agire secondo la volontà di altri.

Per prevenire la coercizione sono necessarie delle leggi, ma non tutte le leggi sono uguali. Il vero baluardo contro l’arbitrarietà del potere è lo Stato di diritto, che non va confuso con la semplice legalità.

Stato di diritto significa che il governo è vincolato da regole stabilite e annunciate in anticipo. Secondo Hayek, queste regole devono avere alcune caratteristiche fondamentali:

  • Generali e astratte. Le leggi non dovrebbero favorire individui o gruppi specifici, ma valere per tutti, proprio come accade per le leggi della natura. Se accendiamo un fuoco, sappiamo che scottarsi è una conseguenza inevitabile: il fuoco non ha “intenzioni” verso qualcuno in particolare. Allo stesso modo, le regole dello Stato devono essere prevedibili e impersonali, consentendo a ciascuno di prevedere le conseguenze delle proprie azioni senza temere decisioni arbitrarie.
  • Note e certe. I cittadini devono poter sapere in anticipo come l’autorità utilizzerà il proprio potere coercitivo. Se la legge cambia continuamente per favorire alcuni, diventa impossibile pianificare il futuro. La certezza della legge è più importante della sua perfezione: solo così ciascuno può utilizzare al meglio la propria conoscenza e perseguire i propri fini.
  • Uguali per tutti. Le leggi devono applicarsi indistintamente a tutti, governanti compresi, senza privilegi o discriminazioni.

Hayek critica duramente il positivismo giuridico, rappresentato da Hans Kelsen, che riduce il diritto a qualsiasi comando emanato dal legislatore: secondo questa visione, anche una legge che imponesse l’arresto di tutti gli uomini con i capelli rossi sarebbe formalmente valida.

Un simile provvedimento, per Hayek, è un ordine arbitrario, perché discriminatorio e privo di quella generalità e astrattezza che caratterizzano lo Stato di diritto.

Quando le norme perdono questo tratto distintivo e diventano strumenti di potere, il terreno della libertà si restringe. Questa riflessione lo porta a interrogarsi sul ruolo che lo Stato dovrebbe effettivamente svolgere in una società libera e su quale tradizione politica possa meglio sostenerne i principi.

4. Il liberalismo di Hayek: critiche e nuove prospettive

Nel celebre poscritto a La società libera, Hayek chiarisce la sua posizione politica e prende le distanze dall’etichetta di conservatore.

Pur condividendo con i conservatori la diffidenza verso i cambiamenti improvvisi e il rispetto per le istituzioni nate spontaneamente, Hayek critica il conservatorismo per la mancanza di principi guida alternativi a quelli socialisti.

A suo avviso, il conservatore tende a usare il potere dello Stato per ostacolare il cambiamento, senza però offrire una propria visione autonoma.

Hayek si definisce invece un Old Whig, cioè un vecchio liberale: chi segue questa tradizione accetta il cambiamento e l’evoluzione, anche senza conoscerne gli esiti, confidando nella capacità del mercato di adattarsi spontaneamente.

Inoltre, a differenza del conservatore, il liberale non pretende di imporre agli altri le proprie convinzioni morali o religiose con la forza.

Ma cosa proponeva concretamente Hayek?

Spesso si commette l’errore di dipingerlo come un sostenitore del “far west” economico, ma in The Constitution of Liberty delinea un programma positivo per lo Stato, lontano dal laissez-faire dogmatico dell'Ottocento.

Ecco i punti chiave del suo programma:

  • Rete di sicurezza sociale. Hayek non era contrario a che lo Stato garantisse un minimo di sussistenza a chi non è in grado di mantenersi nel mercato. Riteneva ammissibili forme di assicurazione sociale obbligatoria, a condizione che fossero organizzate “fuori dal mercato” e non interferissero con il meccanismo dei prezzi né eliminassero la concorrenza.
  • Beni pubblici. Riconosceva che esistono servizi che il mercato non può fornire in modo efficiente, come alcune infrastrutture sanitarie o la tutela dell’ambiente. In questi casi considerava legittimo l’intervento statale, purché finanziato dalla tassazione generale e non utilizzato per finalità redistributive arbitrarie.
  • Moneta e concorrenza. La sua proposta più radicale fu avanzata in età matura con La denazionalizzazione della moneta, dove suggeriva di togliere alle banche centrali il monopolio sull’emissione di denaro, consentendo la concorrenza tra valute private. Secondo Hayek, la competizione avrebbe spinto gli emittenti a mantenere stabile il valore della moneta, risolvendo così il problema dell’inflazione.
  • Sindacati. Non era contrario ai sindacati in sé, ma contestava i privilegi legali che consentivano loro di usare la coercizione – ad esempio impedendo l’accesso ai luoghi di lavoro tramite picchetti che ostacolavano chi non voleva scioperare, oppure attraverso sistemi di iscrizione obbligatoria – per imporre salari superiori a quelli di mercato, pratica che a suo giudizio alimentava la disoccupazione strutturale.

Nonostante la sua enorme influenza, il pensiero di Hayek è stato oggetto di numerose critiche da parte di economisti e filosofi politici:

  • Accusa di ideologia. Secondo alcuni critici, pur affermando di voler essere scientificamente neutrale, la teoria della Scuola Austriaca e di Hayek risulta in realtà intrisa di giudizi di valore. L’insistenza sulla libertà intesa come assenza di coercizione e sulla centralità della proprietà privata riflette una visione ideologica ben precisa, che tende a favorire gli interessi del capitale. In sostanza, Hayek viene accusato di difendere lo status quo dei grandi proprietari, celandosi dietro teorie apparentemente neutre.
  • Il problema del potere privato. Da un lato Hayek è molto attento a denunciare la coercizione dello Stato ma dall’altro, secondo i critici, tende a sottovalutare o negare il potere coercitivo esercitato da grandi corporazioni o monopoli privati, a meno che non siano sostenuti dallo Stato. Per un lavoratore senza alternative, il potere del datore di lavoro può apparire vincolante quanto quello statale: un aspetto che Hayek tende a trascurare.
  • L’inapplicabilità al capitalismo reale. La visione di Hayek, incentrata sullo scambio volontario e sull’individuo razionale, è stata accusata di descrivere un modello di piccoli produttori indipendenti che difficilmente trova riscontro nel capitalismo moderno, dominato da grandi imprese e da rapporti di lavoro non sempre basati su una reale libertà di scelta.
  • Disuguaglianza. Hayek considera la disuguaglianza materiale come una conseguenza inevitabile – e persino necessaria – del progresso. A suo avviso, la redistribuzione della ricchezza in nome della “giustizia sociale” altera i segnali di prezzo e limita la libertà. I critici, però, osservano che questa posizione finisce per giustificare grandi disparità di reddito, ignorando il ruolo delle “dotazioni iniziali” (come la ricchezza ereditata) che incidono profondamente sulle possibilità di accesso al mercato. È come dire che una gara sia equa perché le regole sono uguali per tutti, senza tener conto che c’è chi parte in bicicletta e chi invece con le catene ai piedi.

Quest'ultima critica mette in luce una tensione profonda tra l’ideale di libertà individuale e le condizioni reali di partenza che influenzano le opportunità delle persone.

È uno dei nodi più discussi dell’eredità hayekiana e continua a interrogare economisti e filosofi politici. Comprendere queste tensioni aiuta a cogliere appieno sia la forza sia i limiti del suo progetto intellettuale, offrendo uno spunto utile per riflettere sul lascito complessivo del suo pensiero.

5. Conclusioni

Friedrich von Hayek si conferma il grande teorico dei limiti della ragione umana.

La sua opera ci ricorda che la civiltà si regge su processi che non sono stati progettati consapevolmente e che, nel tentativo di modellare la società secondo un disegno unitario, si rischia di minare proprio quelle dinamiche spontanee che rendono possibile la complessità e il progresso.

Al di là delle singole tesi economiche, il contributo più duraturo di Hayek è forse un certo stile di pensiero: un invito costante alla cautela verso ogni forma di ingegneria sociale onnisciente, alla diffidenza verso soluzioni semplici a problemi complessi e alla consapevolezza che ogni decisione collettiva si scontra con limiti informativi difficili da superare.

In questo senso, oltre che agli economisti, il suo lavoro parla anche a giuristi, filosofi politici e a chiunque si occupi di politiche pubbliche.

L’idea che il potere politico debba essere limitato anche per ragioni di conoscenza imperfetta introduce un argomento ulteriore a favore delle istituzioni liberali e della diffusione del potere tra più centri decisionali.

Anche se la sua fiducia nel mercato può apparire, a qualcuno, eccessiva o ideologica, la riflessione sulla natura dispersa della conoscenza rimane un punto di riferimento importante per chiunque voglia capire come funziona la società moderna.

Più che offrire una risposta definitiva, il pensiero di Hayek fornisce una griglia di lettura con cui valutare, caso per caso, le nostre ambizioni di controllo collettivo, ricordandoci i limiti – profondamente umani – delle istituzioni chiamate a realizzarle.


La serie di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino: alle origini dell'etica economica

4. Il mercantilismo: dalle origini al suo impatto nel mondo moderno

5. Fisiocrazia e Tableau économique: origini, principi e limiti

6. L'economia classica: Un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: Il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx: La sua filosofia di pensiero

15. Karl Marx: Una nuova interpretazione del processo di accumulazione del capitale

16. Karl Marx: La teoria del valore

17. Karl Marx: La teoria del plusvalore. Lo sfruttamento capitalistico

18. Karl Marx: La caduta tendenziale del saggio di profitto

19. Karl Marx: Le caratteristiche della società socialista

20. L'economia neoclassica: La rivoluzione marginalista

21. L'economia neoclassica: La Scuola Austriaca di economia. Origini, sviluppi ed eredità

22. L’economia neocassica: I contributi di Clark, Wicksteed, Wicksell, Edgeworth e Fisher

23. L'economia neoclassica: Alfred Marshall e l'economia moderna. Idee, metodo ed eredità

24. La Scuola Storica Tedesca di economia

25. John Maynard Keynes: Vita, contesto e sviluppo intellettuale

26. John Maynard Keynes: La critica all'ortodossia e le basi del pensiero keynesiano

27. John Maynard Keynes: La Teoria Generale: una rivoluzione nel pensiero economico

28. John Maynard Keynes: Keynes oggi: l'eredità di una rivoluzione incompiuta

29. La Scuola Austriaca di economia: dalle origini a Ludwig von Mises

30. La Scuola Austriaca di economia: Mises e la scienza dell’azione umana. Libertà, mercato e conoscenza

31. La Scuola Austriaca di economia: Hayek e i limiti della ragione: libertà, conoscenza e ordine spontaneo

32. Joseph Schumpeter (più articoli)

33. Piero Sraffa

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