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Il pensiero di Malthus e Sismondi

Il pensiero di Malthus e Sismondi


13Apr2024

Information
Andrea Gonzali Storia del pensiero economico 536 hits
Prima pubblicazione: 04 Febbraio 2024

«I saggi non dicono tutto quello che pensano, ma pensano tutto ciò che dicono».

Raimon Panikkar

Nel corso della storia del pensiero economico, poche teorie hanno suscitato un dibattito così ampio quanto la “legge naturale” dell’incremento della popolazione proposta da Malthus.

Nella prima parte di questo articolo, esploreremo le basi della teoria malthusiana e il suo impatto sul pensiero del tempo, mettendo in luce l’interazione complessa tra popolazione, risorse e benessere sociale.

Nella seconda parte, ci concentreremo sul pensiero di Sismondi. A differenza di Malthus, Sismondi offre una prospettiva diversa, spesso trascurata nel dibattito economico classico.

Economista di formazione classica, critico del nascente capitalismo e precursore del pensiero sociale, Sismondi enfatizza la necessità di un equilibrio tra progresso economico e benessere sociale.

Cercheremo di riscoprire il pensiero di Sismondi, evidenziando come le sue idee possano ancora oggi fornire preziosi spunti nel campo della sostenibilità sociale ed economica.

Indice

1. La crescita demografica e le sue implicazioni sociali secondo Malthus

2. Il pensiero critico dimenticato di Sismondi

1. La crescita demografica e le sue implicazioni sociali secondo Malthus

John Linnell, Thomas Robert Malthus (1834)

«The world's population will multiply more rapidly than the available food supply».

Thomas Robert Malthus

Thomas Robert Malthus, "un pastore anglicano di temperamento aristocratico", attraverso l'utilizzo di concetti relativi alla crescita demografica proposti da Wallace e altri, si dedicò a rafforzare il sistema di Smith dimostrando che la propensione umana al sovrappopolamento necessita di disuguaglianze sociali e ostacola il riconoscimento del diritto all'assistenza.

Malthus mirava esplicitamente a legittimare l'ordine liberale basato sulla proprietà e sulle disuguaglianze sociali, argomentando come il liberalismo e l'ineguaglianza che ne deriva migliorino le condizioni di vita di almeno una parte della popolazione, dato che limitano la crescita demografica: un sistema di comunanza o di eguaglianza, invece, avrebbe portato tutti alla povertà.

La dimostrazione della sua teoria era semplice e si basava sul confronto tra quella che definiva la "legge naturale" dell'incremento della popolazione e le condizioni ottimali di crescita della produzione alimentare.

Secondo Malthus, considerando la fertilità delle coppie e la mortalità ordinaria, la popolazione – se libera di sposarsi e se capace di nutrire i propri figli – raddoppia ogni 25 anni. Le risorse alimentari, però, non possono aumentare allo stesso ritmo.

Egli descriveva la crescita della popolazione come una progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16, ...) e quella delle risorse alimentari come una progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5, 6, ...), considerando questa discrepanza come il fondamento di tutta la scienza sociale.

Partendo da questo presupposto, Malthus sosteneva che bisogna ammettere che una popolazione nella quale niente impedisce o limita il comportamento matrimoniale e sessuale degli individui sarà una popolazione che rimarrà costantemente misera.

Uno dei punti più importanti della sua teoria è la risposta alla domanda seguente: è possibile individuare altre modalità, più accettabili della miseria, per limitare lo sviluppo della popolazione?

Per Malthus non esistono: si pronuncia con la stessa energia sia contro la regolamentazione dell'età del matrimonio, sia contro il controllo delle nascite in tutte le sue forme.

Malthus conclude che solo l'autoregolamentazione morale (moral restraint) potrebbe limitare la crescita della popolazione, ma questo può avvenire soltanto in una società fondata sulla proprietà ereditaria e che ammette l'ineguaglianza della ricchezza.

Per limitare lo sviluppo della popolazione rimangono quindi "soltanto la fame e l'inedia, a meno che non intervengano preventivamente freni distruttivi sotto forma di guerre, pestilenze e simili. Decisamente, la prospettiva che Malthus presenta all'umanità non è piacevole".

Ad aggravare la durezza del pensiero malthusiano, è importante sottolineare che ogni intervento statale o di qualche altro soggetto o ente benefattore che avesse avuto lo scopo di alleviare la condizione di povertà delle masse, sarebbe stato inutile: l'unico risultato che avrebbe conseguito sarebbe stato quello di aumentarne di nuovo l'attività riproduttiva, rendendo scarse le risorse alimentari e ritornando quindi al punto di partenza.

Nella sua interessante analisi, Galbraith conclude come "tra i molti che hanno cercato di scaricare la povertà dei poveri sulle spalle dei poveri – o di toglierla da quelle dei più abbienti – nessuno l'ha fatto in maniera più completa di Malthus".

Il pensiero di Malthus ha ricevuto molte critiche. La sua teoria sulla crescita della popolazione assimila l'uomo a un essere animale o vegetale, quindi primitivo. L'aumento della popolazione non è, però, la manifestazione di leggi naturali, ma di abitudini sociali diverse che provocano tale aumento.

Se è vero che questa teoria è stata coerente almeno con l'andamento dei salari reali in funzione della popolazione in Gran Bretagna nei 5-6 secoli precedenti, è ancora più evidente come le abitudini della società contemporanea siano cambiante molto negli ultimi due secoli.

Il risultato è stato la diminuzione della popolazione – invece della crescita in base a una progressione geometrica sostenuta da Malthus – nei paesi sviluppati.

La semplice osservazione della realtà è più che sufficiente a smontare completamente la teoria sulla crescita della popolazione di Malthus. Tuttavia, potremmo chiederci se essa non sia per caso ancora valida per i paesi più poveri, come ad esempio molti di quelli africani.

Charles Kenny, Senior Fellow al Center for Global Development, ha cercato di rispondere a questa domanda. Nel suo paper del 2010 intitolato "Is Anywhere Stuck in a Malthusian Trap?", Kelly ha studiato le correlazioni lineari tra la crescita demografica e il PIL pro capite nell'Africa Sub-Sahariana, utilizzando dati della Banca Mondiale dal 1960 al 2005.

I risultati rivelano un coefficiente di correlazione medio tra la crescita demografica e le prestazioni economiche nei 46 paesi analizzati che non supera lo 0,14.

In particolare, lo studio ha esaminato la correlazione tra la crescita del PIL pro capite in un anno e la crescita della popolazione nell'anno seguente, così come la correlazione tra la crescita della popolazione e la crescita del PIL pro capite nello stesso anno o nel quinquennio seguente.

Dei 46 paesi africani studiati, solo 13 (28%) hanno mostrato correlazioni in linea con le aspettative malthusiane ma, anche in questi casi, le correlazioni erano molto deboli.

Solo quattro paesi (Tanzania, Togo, Mauritius e Angola) hanno avuto correlazioni un po' più forti (superiori a 0,30) in entrambe le direzioni, suggerendo una relazione più significativa tra la crescita demografica e i risultati economici.

Questi risultati non sono ovviamente sufficienti a provare l'esistenza di uno scenario malthusiano. L'analisi suggerisce, invece, che per la maggior parte dei paesi africani i progressi tecnologici e i cambiamenti socio-economici stanno diminuendo l'influenza della crescita demografica sui cambiamenti economici, eliminando anche quei residui legami (semmai ci fossero, cosa tutt'altro che dimostrata) tra l'Africa e la teoria della crescita della popolazione malthusiana.

Malthus gode ancora oggi di una certa notorietà perché si oppose alla "Legge degli sbocchi" di Say.

Coerentemente con la sua teoria sulla crescita della popolazione, Malthus riteneva che la povertà degli operai, i cui salari erano ridotti al minimo a causa della loro prolificità, potesse portare a una situazione in cui la produzione non venisse completamente assorbita dalla domanda.

Questa visione lo rese il primo a riconoscere la possibilità che delle crisi economiche potessero emergere a causa di fattori intrinseci al sistema capitalista.

Come evidenziato nell'articolo su Jean-Baptiste Say, dovrà passare oltre un secolo prima che questa prospettiva venga accettata dagli economisti.

2. Il pensiero critico dimenticato di Sismondi

Anne-Louis Girodet-Trioson, Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi (1800)

«Some books are undeservedly forgotten; none are undeservedly remembered».

Wystan Hugh Auden

Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, ancor prima che un economista, è stato un importante uomo di lettere e storico svizzero.

Come Malthus, Sismondi rifiuta la legge degli sbocchi. La sua opera, pubblicata nel 1819 con il titolo di "Nouveaux Principes d'économie politique", critica il liberalismo economico sulla base dell'osservazione della miseria in cui viveva la gran parte della popolazione inglese.

Sismondi è un autore che spesso è stato ignorato dagli storici dell'economia. La sua critica morale al capitalismo è quasi dimenticata, ma la sua analisi è utile a capire come il suo pensiero sia anticipatore sotto molto punti di vista.

Sismondi critica la crematistica – ovvero l'accumulo della ricchezza fine a sé stessa – considerata erroneamente come l'obiettivo finale dell'economia, sostenendo che l'essenza dell'economia dovrebbe essere quella di concentrarsi sull'uomo e non sulla ricchezza.

Egli propone un controllo statale sul capitalismo per assicurare il benessere collettivo, offrendo un'alternativa al modello marxista di abolizione totale del capitalismo: oggi potremmo definire il suo riformismo come vagamente socialdemocratico.

In questo senso, la sua analisi assume un ruolo fondamentale sia nella storia dell'economia politica sia per comprendere certi valori e principi che ancora oggi guidano i nostri sistemi economici attuali.

Sismondi basa la sua critica sulle fondamenta del capitalismo iniziale, caratterizzate da una forte enfasi sulla proprietà privata assoluta. Con l'evolversi della società capitalista, nasce il diritto di acquisire e commerciare proprietà liberamente, incentivando l'impresa privata e limitando gli interventi statali.

Nella sua critica, Sismondi distingue tra proprietà di consumo, ovvero beni consumabili, e proprietà di produzione, come terra e capitale, che detengono un potere di controllo sulla vita altrui.

Pur ispirandosi ai principi di Adam Smith – che teneva in grande considerazione – e nonostante non si distacchi completamente dall'economia classica, si oppone all'accumulo eccessivo di capitale e alle sue conseguenze, come l'oppressione dei lavoratori.

Le idee economiche di Sismondi si sono sviluppate in seguito a ricerche storiche e viaggi, in particolare in Italia, Svizzera e Francia, dove ha osservato le prime crisi economiche del XIX secolo.

Sismondi pone l'uomo al centro dell'economia e considera la ricchezza solo come un mezzo per raggiungere la felicità generale. Crede che l'economia debba mirare a soddisfare i bisogni umani e a promuovere il benessere complessivo della comunità.

Le sue osservazioni sull'economia classica evidenziano come molti economisti del suo tempo abbiano trascurato l'elemento umano a favore degli aspetti materiali.

Un aspetto innovativo della sua analisi era l'importanza degli stati transitori nel processo economico. Ad esempio, enfatizzava l'intervallo di tempo che intercorre tra la riscossione delle entrate e la loro spesa, aprendo così la strada a un approccio propriamente dinamico alle fluttuazioni economiche.

Ecco quindi che si potevano verificare delle crisi dovute a squilibri tra produzione e consumo: da qui, la convinzione di Sismondi che la legge degli sbocchi di Say fosse sbagliata.

Alcune misure economiche individuate da Sismondi sono al centro di dibattiti attuali oppure fanno già parte della nostra società: sosteneva infatti la necessità di un salario annuale garantito, di misure di sostegno per affrontare rischi comuni come malattia, disoccupazione e vecchiaia, di un tetto alle ore di lavoro, di un minimo salariale e del diritto all'istruzione anche per i poveri.

Sismondi ha anche criticato l'industrializzazione, che aveva portato a cambiamenti nelle strutture occupazionali e alla sostituzione del lavoro con le macchine. D'altra parte, egli proponeva che l'economia dovesse essere dominata dalla "ricchezza fondiaria", definita come l'insieme dei beni destinati a soddisfare i bisogni di coloro che li producono.

Sismondi credeva in una proprietà privata ampiamente differenziata ed era favorevole all'esistenza di tanti piccoli proprietari che fossero, nello stesso tempo, anche lavoratori. Suggeriva inoltre che il progresso per le classi lavoratrici sarebbe avvenuto solo quando si fosse trovato un modo per stabilire una comunità di interessi, al posto delle continue lotte, tra imprenditori e lavoratori.

L'opera di Sismondi è significativa: offre un'alternativa sia al modello marxista che al sistema economico crematistico del capitalismo puro, proponendo una visione economica centrata sull'uomo e sul benessere collettivo.

Non sono mancate le critiche nei suoi confronti: principalmente, è stato accusato di un'eccessiva idealizzazione della piccola produzione e del fatto che le proposte di riforma di Sismondi fossero solo un anelito romantico all'economia rurale del passato.

Le sue idee hanno tuttavia esercitato una notevole influenza su molti pensatori socialisti del XIX secolo e sono ritenute antesignane di alcune teorie economiche moderne, come quella proposta da Keynes.


La collezione di articoli sulla "Storia del pensiero economico" contiene:

1. Il progetto di organizzazione sociale di Platone

2. La critica di Aristotele alla dottrina economica di Platone

3. Tommaso d'Aquino

4. Il mercantilismo

5. I fisiocratici

6. L'economia classica: un nuovo approccio all'economia politica

7. L'economia classica: Smith e Ricardo – Il valore della merce

8. L'economia classica: La distribuzione del reddito

9. L'economia classica: Jean-Baptiste Say

10. L'economia classica: il pensiero di Malthus e Sismondi

11. L'economia classica: Il cammino verso lo stato stazionario e il commercio estero

12. L'economia classica: John Stuart Mill, l'ultimo economista classico

13. Il socialismo utopistico di Charles Fourier

14. Karl Marx

15. L'economia politica neoclassica

16. John Maynard Keynes

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